Il terrore rosso in Russia (1918-1923)
La testimonianza dello studioso Sergej Mel’gunov su uno degli eventi più terribili della storia del Novecento

Negli anni compresi fra il 1918 e il 1921 la Russia fu sconvolta da eventi terribili, lo scontro fra bolscevichi e Armate Bianche, l’aggressione ai Paesi che si erano proclamati indipendenti dopo la fine dell’Impero Zarista e la repressione dei moti operai e contadini che si concluse con la carestia del 1922 causata dalle dure imposizioni nel settore agricolo che provocò la morte di cinque milioni di persone.

Caduto il potere zarista dopo i moti popolari di Pietrogrado, si venne a formare il governo liberale del principe L’vov e successivamente quello socialista di Kerenskij. I nuovi Governi intrapresero molte iniziative per l’ampliamento della democrazia e le riforme nel campo del lavoro, introducendo la giornata lavorativa di otto ore, ma si trovarono a gestire una situazione politica difficilissima a causa dei contrasti politici all’interno dei Soviet. I bolscevichi ne approfittarono per una rivolta condotta con i militari della guarnigione della capitale, presero il potere e da subito soppressero la democrazia con l’istituzione della Ceka e i tribunali rivoluzionari. I bolscevichi si caratterizzavano rispetto agli altri gruppi socialisti per la loro idea di un partito fortemente gerarchicizzato, godevano di un certo consenso per la loro contrarietà alla guerra, ma come risulta dalle elezioni per l’Assemblea Costituente (e dalle successive elezioni nelle assemblee operaie) rappresentavano una netta minoranza nel Paese e all’interno del mondo socialista. Nei mesi successivi vennero soppressi i poteri dei Soviet, imposto un regime di severe restrizioni sui contadini, mentre le industrie del Paese nonostante la fine della guerra, cessavano la produzione a causa dell’allontanamento dei dirigenti borghesi, dei sequestri bancari e degli abusi del cosiddetto controllo operaio. Per alcuni mesi la situazione nel resto del Paese rimase relativamente tranquilla sebbene confusa, mentre dopo il ritiro delle truppe tedesche i Paesi resisi indipendenti vennero aggrediti e annessi nel nuovo Stato Sovietico.

I provvedimenti a favore dei contadini e degli operai furono di breve durata, in pratica finalizzati a distruggere lo Stato e le odiate classi borghesi e, prima che si riorganizzasse una forte opposizione, nel Paese iniziarono le persecuzioni. Nelle settimane immediatamente successive alla Rivoluzione venne sciolta l’Assemblea Costituente, soppresso ogni giornale d’opposizione (anche socialista), represso lo sciopero dei funzionari di Stato e in aprile arrestati gli anarchici. Nell’estate del 1918 iniziarono gli scioperi e le proteste contadine contro le requisizioni arbitrarie, un attentato contro Lenin (condotto da una socialrivoluzionaria) portò all’inasprimento delle misure repressive che portarono alla fucilazione immediata di 1.300 oppositori a Pietrogrado e di altri 10-15.000 nel resto del Paese (6.185 secondo le stesse fonti sovietiche, oltre alla cattura di 4.068 ostaggi fra i familiari dei rivoltosi): eventi accaduti prima dell’attacco su vasta scala delle cosiddette Armate Bianche.

Gli storici marxisti hanno tentato di giustificare le violenze dei bolscevichi parlando di una situazione estremamente difficile per il Paese che necessitava di provvedimenti energici per riportare l’ordine, ma tale tesi non risulta fondata su fatti storici. Un Governo intenzionato a mantenere l’ordine o comunque a gestire una situazione d’emergenza, cerca l’alleanza con i partiti vicini, non perseguita indiscriminatamente tutti gli altri gruppi. La conquista violenta del potere avvenne quando al Governo erano i socialisti, le misure repressive avvennero non successivamente alla minaccia delle Armate Bianche ma già nei mesi precedenti. Del resto voler far passare i bolscevichi come il partito dell’ordine appare un tentativo quanto meno disperato. I bolscevichi avevano fomentato il disordine per costringere alla fuga le classi dirigenti e nei loro scritti avevano esaltato la violenza in tutte le sue forme. Lenin, Trotzky e Bucharin nei loro scritti (rispettivamente La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Terrorismo e comunismo, Abc del comunismo) avevano esplicitamente affermato che occorreva governare non solo con la dittatura ma imponendo il regime del terrore sull’intera società, classi lavoratrici incluse. Anche un raffronto fra il regime di Lenin e quello zarista appare significativo. Dal 1905 la Russia disponeva della Duma, che sebbene non disponesse dei poteri dei Parlamenti Occidentali vedeva fra i rappresentanti gli stessi socialisti, sia pure con ritardo era iniziata l’industrializzazione del Paese, e la repressione politica non aveva mai raggiunto i livelli di quella comunista. Si calcola che dal 1825 al 1917 si ebbero 6.231 fucilazioni per motivi politici, gli storici ritengono che almeno 200.000 siano i fucilati fra il 1918 e il 1923, la maggioranza dei quali contadini che si opponevano alle requisizioni del grano. Anche le Armate Bianche nel 1919 furono responsabili di numerosi atti di terrore, ma queste apparivano come un insieme caotico di gruppi politici (anche di Sinistra) che non avevano pianificato un sistema di repressione centralizzato.

Sergej Mel’gunov è stato giornalista, editore e storico russo, autore di diverse opere su fatti politici vissuti personalmente. In Russia si era impegnato attivamente in politica con i socialisti popolari sebbene fosse di origini aristocratiche. Per tale ragione è stato più volte arrestato fra il 1918 e il 1922, finché non lasciò il Paese, e nel 1923 scrisse Il Terrore Rosso in Russia, raccogliendo molti dati provenienti da fonti comuniste, anticomuniste e straniere sull’argomento inseriti in un lavoro approfondito e di largo respiro sui fatti politici di quegli anni. Il suo lavoro e i dati forniti concordano con i principali studi storici sull’argomento e con quanto successivamente risultato dall’apertura degli archivi sovietici dopo la caduta del comunismo, mentre non mancano le citazioni e i raffronti con numerosi altri lavori simili.

Il racconto di Mel’gunov è drammatico ma dettagliato, senza concedere troppo alle questioni emotive. Non si dilunga sulle questioni ideologiche, accenna all’utopismo dei comunisti e centra il suo discorso sulle questioni fondamentali. Ricorda che in Russia al tempo dello Zar esistevano il Parlamento, i partiti e liberi sindacati. «Un’altra favola tenacemente radicata in Occidente è quella che descriveva l’epoca zarista come un mondo avvolto nelle tenebre… la libertà di stampa si estendeva ogni giorno di più». Dopo la presa del potere da parte dei comunisti nell’agosto del 1918 venne istituita quella che Mel’gunov chiama la dittatura alimentare: «Un complesso sistema discriminatorio delle tessere alimentari con cui, di fatto, il regime decideva che cosa o in quale misura ciascuno poteva mangiare». Molti degli episodi di violenza di quegli anni non hanno molto a che vedere con lo scontro fra Armata Rossa e Armate Bianche. Nel marzo del 1919 ad Astrachan gli operai protestavano con manifestazioni di piazza contro il razionamento e gli arresti arbitrari, vennero dapprima affrontati con le mitragliatrici, nei giorni successivi una parte degli operai venne fucilata e un’altra parte, insieme ad alcuni borghesi solidali con i lavoratori, caricata su zattere e fatta affogare nel Volga. In tutto i giustiziati furono 4.000 e rappresentavano uno degli episodi meglio documentati di quegli anni. L’anno successivo un giornale dell’estrema Sinistra riferisce che a Cholmogory nel corso della giornata per la «Giustizia Rossa» vennero fucilati 2.000 fra cosacchi e contadini già deportati, considerando anche le uccisioni nelle località vicine si arriverebbe alla cifra di 8.000 giustiziati. Mel’gunov fa notare che molti episodi del genere non furono dovuti a responsabilità di capi locali ma erano avvenuti su ordine scritto di Lenin e Trotsky, che nei loro proclami inneggiavano continuamente all’uso della violenza e della repressione.

Sempre nel 1920, quando le Armate Bianche erano state definitivamente sconfitte, i bolscevichi arrivarono ad occupare Odessa dove vennero fucilati 7.000 controrivoluzionari o sospettati tali, mentre a Ufa centro di una rivolta contadina «secondo i dati ufficiali 10.000 fucilati e secondo quelli ufficiosi 25.000 e più». La Crimea è stata la regione occupata da quello che viene considerato come il più evoluto politicamente fra i Generali dell’Armata Bianca, Peter Wrangel. Secondo il giornale «Za Narod» («Per il Popolo») 50.000 furono le vittime della repressione, mentre per altri i giustiziati sarebbero più del doppio, una parte dei quali ammessi dalle fonti ufficiali comuniste. Anche le regioni periferiche vennero colpite dalla repressione, a Elizavetpol nella Transcaucasia furono eliminati 40.000 musulmani ribelli.

Nel 1921 si ebbe la sollevazione dei marinai di Kronstad, precedentemente fautori della Rivoluzione d’Ottobre, che lanciarono un manifesto per la democrazia e per la fine delle misure restrittive sui contadini, occorre infatti ricordare che nei mesi precedenti era stato introdotto il cosiddetto codice di militarizzazione del lavoro che assoggettava gli operai ad una disciplina molto più coercitiva di quella prevista nei Paesi capitalisti. Secondo il «Frankfurter Zeitung», dopo la loro sconfitta, 2.500 furono le fucilazioni degli insorti, alle quali andrebbero aggiunte altre 1.400 avvenute in episodi collegati, le fonti sovietiche riportano dei dati non molto diversi.

La politica delle requisizioni e della durissima repressione degli acquisti di cibo da parte di cittadini affamati che vendevano le loro cose nelle campagne, spinse alla rivolta i contadini. Mel’gunov ricorda che il regime «pretendeva dai contadini senza contropartita alcuna, i loro prodotti agricoli: a causa dell’inflazione, il denaro aveva perso ogni valore e l’industria aveva cessato di produrre ciò che serviva al villaggio». La guerra ai villaggi contadini divenne col passare del tempo più dura, vennero incendiati, cannoneggiati, bombardati e sterminati coi gas asfissianti. Sempre nel 1921 si ebbe la rivolta contadina più conosciuta e meglio documentata, quella di Tambov a 500 chilometri da Mosca, diretta da un socialrivoluzionario famoso, Aleksandr Antonov. Si concluse con 15.000 fucilazioni e la deportazione di 100.000 contadini. Le rivolte contadine furono in quegli anni centinaia, ma essendo fenomeni locali non coordinati fra loro, il Governo non ebbe difficoltà a reprimerle. Una questione in parte diversa da quella delle rivolte contadine, fu quella della cosiddetta decosacchizzazione. I cosacchi non scelsero di combattere per la restaurazione della Monarchia, ma solo per l’autonomia amministrativa, secondo Mel’gunov e altri studiosi furono oggetto di un quasi genocidio, mezzo milione fra deportati e fucilati.

Oltre alle uccisioni vanno ricordati altri sistemi di lotta estremamente duri, la cattura di ostaggi (da sopprimere nel caso di ribellione da parte di familiari) e il ricorso alla tortura. Gli arrestati furono molte decine di migliaia e in molti casi la loro sorte non fu diversa da quella patita dai condannati alla pena capitale, nel monastero di Pertominsk adoperato come carcere, su 1.200 prigionieri si ebbero 442 decessi nel corso di sei mesi. La Commissione Denikin si sofferma anche su altre forme di vessazione: «Tutti gli uomini col colletto inamidato e tutte le donne col cappellino sono stati spediti ai lavori forzati. Li rastrellavano per strada e li mandavano a gruppi a scavare trincee fuori città. In un secondo tempo gli arresti nelle vie furono sostituiti da retate effettuate nottetempo nelle abitazioni». Mel’gunov riporta quanto scritto da Volin in La Rivoluzione sconosciuta: «Secondo i calcoli più modesti, più di 200.000 contadini furono a quell’epoca fucilati dalle autorità bolsceviche».

(agosto 2014)

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