Pio XII e la Radio Vaticana
Il timore di rappresaglie indusse il Papa a mettere un freno alle trasmissioni di denuncia della Radio Vaticana

Tra le motivazioni addotte da alcuni storici per spiegare il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah vi sarebbe quella della paura del comunismo: il timore che una denuncia pubblica delle atrocità del Terzo Reich potesse minare lo sforzo bellico tedesco – e quindi favorire l’espansione dell’Unione Sovietica in Europa – avrebbe indotto il Pontefice a tacere di fronte ai crimini degli uomini di Hitler.

È inutile dire che questa tesi presenta diversi punti deboli, uno dei quali è l’apprensione mostrata da Pio XII per un’eventuale vittoria del nazismo, da questi considerato un pericolo alla stregua del comunismo: all’Ambasciatore Italiano Bernardo Attolico, che chiedeva un pubblico pronunciamento della Santa Sede a favore della Crociata antibolscevica dell’Asse, Pio XII rispose: «Se io parlassi e sarei prontissimo a farlo del comunismo, non dovrei dunque dire nulla del nazismo?» E dopo aver elencato al diplomatico le persecuzioni operate contro la Chiesa in Germania, aggiunse: «Se un giorno “dovrò” parlare, allora dirò tutto».[1]

Sarebbe forse utile, per comprendere l’atteggiamento del Papa di fronte allo sterminio degli Ebrei, fare un confronto con l’attitudine che questi ebbe di fronte alla persecuzione religiosa attuata dai nazisti. Se infatti nel «silenzio» verso l’Olocausto alcuni autori hanno avanzato l’ipotesi che esso fosse stato provocato dall’antigiudaismo presente nella Chiesa preconciliare, non si può dire lo stesso riguardo alla repressione antireligiosa del Terzo Reich che colpiva membri del clero e fedeli cattolici.

Un elemento importante per capire l’atteggiamento del Pontefice su questo punto sta nel suo comportamento di fronte alle denunce pubbliche della Radio Vaticana. Questo strumento rappresentava un mezzo utile per fare conoscere la posizione della Chiesa senza però esporsi in modo ufficiale: infatti, se da un lato la Radio non rappresentava ufficialmente la posizione della Santa Sede perché formalmente non dipendeva dalla Segreteria di Stato, dall’altro il Pontefice esercitava però su di essa un vasto controllo dato che poteva decidere quali argomenti potessero essere trattati e quali invece censurati.

A esempio, dopo aver ricevuto notizie sulle persecuzioni che stavano operando i nazisti contro il clero polacco, Pio XII diede ordine di fornire alla Radio Vaticana qualche dato «per la trasmissione tedesca sulle condizioni della Chiesa in Polonia». Nei giorni seguenti, difatti, si susseguirono numerose trasmissioni in cui venne ampiamente descritta la violenza operata dai Tedeschi contro la popolazione civile polacca: «Dallo scorso novembre i Polacchi sono stati sistematicamente portati via dalla Posnania, Pomerania e Slesia e mandati nel cosiddetto Protettorato. Non abbiamo parole per il metodo impiegato […] questa povera gente è lasciata al suo destino senza casa, vestiti e soldi» recitava una trasmissione del gennaio del 1940.[2] Dopo poco tempo, tuttavia, queste trasmissioni vennero sospese: le proteste tedesche unite alle minacce di ritorsioni naziste indussero infatti il Pontefice a dare l’ordine di interrompere le comunicazioni riguardanti i crimini nazisti in Polonia.

Una situazione simile accadde anche per quanto riguardava le denunce della Radio Vaticana sulla persecuzione contro la Chiesa in Germania. A tal proposito, Pio XII ebbe infatti a scrivere al Vescovo di Berlino, Konrad Von Preysing, chiedendogli un parere sull’opportunità di continuare a dare notizie sulle repressione antireligiosa nel Terzo Reich, nonostante fossero arrivate notizie di ritorsioni provocate dai programmi della Radio; e la risposta del Vescovo fu che «la Santa Sede non può rinunciare a portare a conoscenza del pubblico mondiale i fatti religiosi, anche quelli che accadono in Germania». Per diversi mesi la Radio Vaticana continuò così a denunciare le violazioni religiose compiute dai nazisti: a esempio, nell’ottobre del 1940, in merito alla situazione religiosa dell’Alsazia-Lorena occupata dai Tedeschi, venne riferito che «tutte le scuole cattoliche sono state chiuse. Ad alcune centinaia di religiosi, preti, confratelli e suore è stato impedito di lavorare nella campo dell’educazione […] I seminari diocesani e le scuole missionarie non esistono più […] Nella cattedrale di Strasburgo sono state vietate tutte le funzioni religiose». Anche in questo caso, però, le numerose rimostranze tedesche indussero infine Pacelli, nell’aprile del ’41, a ordinare di interrompere anche queste trasmissioni. Come spiegò all’Ambasciatore Inglese, Pio XII decise questo perché non poteva ignorare il fatto che i cattolici e i religiosi fossero esposti al pericolo di rappresaglie da parte del Governo Tedesco, il quale d’altro canto non si farà scrupolo a informare esplicitamente il Vaticano d’essere intervenuto contro la Chiesa Cattolica presente nel Reich proprio per il fatto che la propaganda nemica utilizzava spesso le trasmissioni della Radio Vaticana.[3]

In definitiva, si può dunque affermare che il timore di rappresaglie fu un fattore determinante nell’indurre Pio XII a un atteggiamento riservato e prudente verso la persecuzione della Chiesa operata dei nazisti. Considerazioni simili dovettero probabilmente influenzare l’atteggiamento del Pontefice anche per quanto riguarda il genocidio contro il popolo ebraico.


Note

1 Citato in Italo Garzia, Pio XII e l’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, Morcelliana, Brescia, 1988, pagina 178.

2 Confronta Raffaela Perin, La radio del Papa. Propaganda e diplomazia nella Seconda Guerra Mondiale, Il Mulino, Bologna, 2017, pagine 69-71.

3 La radio del Papa, pagine 77-78 e 101-113.

(ottobre 2023)

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