Le «delizie» napoletane
Le Ville Vesuviane, nate spontaneamente intorno alla nuova residenza del Re Carlo di Borbone, sono il più alto manifesto della cultura raffinata della Corte Napoletana raggiunta sotto i Borboni

Le delizie napoletane, ossia le Ville Vesuviane

È doveroso illustrare brevemente alcune caratteristiche che hanno reso uniche le Ville Vesuviane.

La zona oggetto di questo racconto è il tratto di una lunga strada chiamata nella toponomastica antica Strada Regia delle Calabrie, che inizia vicino al Ponte della Maddalena, zona orientale di Napoli, passa per i quartieri di San Giovanni a Teduccio, di Barra, continua verso San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano fino ad arrivare a Torre del Greco, sono ben 24 chilometri lungo i quali si possono ammirare ben 122 gioielli architettonici che vanno sotto il nome di Ville Vesuviane. Il tratto più famoso è conosciuto come Miglio d’Oro che inizia dalla Reggia di Portici, passa per Ercolano e termina a Torre del Greco. Tale appellativo è dovuto alla presenza delle più importanti residenze settecentesche chiamate appunto le «ville di delizie».

Villa Campolieto

Villa Campolieto ad Ercolano (Italia)

Con il passare del tempo, grazie al loro studio e al loro censimento, il Miglio d’Oro, per così dire, si è «allungato» fino a ricoprire la lunga strada che collega Napoli a Torre del Greco.

Purtroppo non tutte le ville sono giunte a noi intatte a causa del boom edilizio che ha colpito questo lato dell’area vesuviana, ciò ha comportato un duro rimaneggiamento, abbandono e soffocamento tra grandi palazzoni. La sorte più dura è toccata a quelle più piccole, mentre, fortunatamente, quelle più grandi, grazie ad una maggiore sensibilità, sono state restaurate e alcune di esse sono aperte al pubblico. Meno fortunati sono stati i giardini che, a parte qualche esempio, sono stati drasticamente ridotti.

La zona costiera dell’area vesuviana, prima dell’ascesa borbonica, era caratterizzata da piccoli insediamenti sparsi dediti al commercio, alla pesca, alla coltura di terre, soprattutto frutteti, e alla produzione di vini, quali: Lacrima Christi, Greco e Moscatello. Tali produzioni, per la maggior parte, erano legati alle ville rurali che fungevano anche da aziende agricole (ad esempio la residenza di Luca Giordano).

La zona vesuviana era caratterizzata, inoltre, dall’aria salubre e dal clima mite, ciò spinse molti nobili, dignitari di Corte e illustri personalità a costruire seconde abitazioni in questo, ahimè perduto, angolo di paradiso. Purtroppo, quest’ameno e incantato posto, ogni tanto, veniva scosso da qualche eruzione, una molto intensa si ebbe nel 1631, nonostante ciò, i Napoletani, superata la paura e spinti dall’amore incondizionato verso questo vulcano e queste terre, ripresero a coltivarle e a costruire nuovi centri abitati.

Con il passare del tempo, siamo tra il XVI e il XVII secolo, gli insediamenti da piccoli agglomerati di case contadine divennero dei casali autonomi e alcuni crescevano più degli altri come ad esempio Portici, la stessa San Giorgio a Cremano, Ercolano, eccetera.

Villa Pignatelli

Ingresso della Villa Pignatelli a Montecalvo (Italia)

«Ci penseranno Iddio, Maria Immacolata e San Gennaro». I Borboni e la Reggia di Portici. Nascita delle ville vesuviane

Salito al trono, il Re Carlo di Borbone, volendosi allontanare dalla, già allora, caotica capitale partenopea, decise di cercare un posto tranquillo dove riposarsi. Tale sito, però, doveva avere dei requisiti peculiari, quali la vicinanza a Napoli, per avere sotto controllo il cuore politico e nevralgico del Regno e avere un’agevole via di fuga che gli consentisse di rifugiarsi dietro le possenti mura napoletane. Il Re scelse Portici come centro adatto per realizzare la sua regia residenza estiva. Tale cittadina garantiva al Re e alla sua Corte una doppia via di fuga sia per terra sia per mare: la Strada Regia delle Calabrie assicurava una fuga per via terra, il piccolo porto del Granatello garantiva una rapida via di fuga per mare, entrambe portavano rapidamente nelle solide mura napoletane.

Oltre alla rapida fuga, Portici garantiva un bellissimo panorama e un clima mite che il Re apprezzò durante un breve soggiorno presso la residenza in riva al mare del principe d’Eldoeuf, lo scopritore dell’antica Ercolano che donerà molti reperti archeologici al Re Carlo di Borbone per abbellire la sua residenza estiva; il suo successore, Ferdinando IV di Borbone, decise di trasferire tutti questi oggetti in quello che divenetrà di lì a poco il Real Museo Archeologico di Napoli.

Non tutti i dignitari di Corte sostennero la scelta del Re di soggiornare all’ombra del Vesuvio e del suo temuto pennacchio fumoso, ma il Sovrano amava rispondere ai malpensanti: «Ci penseranno Iddio, Maria Immacolata e San Gennaro a proteggermi». In effetti, le successive eruzioni evitarono la zona porticese. I lavori della regale residenza estiva iniziarono nel 1738 su edifici già esistenti.

Ciò comportò, nel giro di poco tempo, un trasferimento in massa della Corte Napoletana e di tutti i nobili desiderosi di entrare nelle grazie della coppia reale che iniziarono, così, a costruire le loro seconde residenze di svago e di diletto quanto più possibile vicino alla reggia. Nel giro di un secolo circa, furono costruite numerosissime ville vesuviane che, contemporaneamente, servivano a mostrare ai blasonati vicini di villa il loro status conquistato all’interno della Corte ed è propio il piacere di suscitare invida nel vicino a spingere i vari proprietari ad indebitarsi e a dare massima libertà agli architetti affinché ricercassero le soluzioni architettoniche ed estetiche più originali sia per gli interni sia per i giardini. Molte ville, infatti, saranno progettate dai più importanti archietti del Rococò e Neoclassico Napoletano.

Ciò che differenzia, quindi, le ville vesuviane rispetto ad altri esempi di ville italiane non è la continuità storica, sociale e produttiva con l’ambiente, ma, al contrario, l’uso dell’ambiente circostante che diventava una quinta teatrale dove architettura, giardino, Vesuvio e mare si fondevano; le ville diventarono dirette espressioni della raffinata cultura della Corte Partenopea.

Queste perle architettoniche furono costruite nel giro di un secolo, il Settecento, ma il loro declino fu altrettanto veloce che iniziò dopo l’Unità d’Italia quando, in seguito all’abolizione dei privilegi nobiliari, l’aristocrazia partenopea, non riuscendo più a sostenere le spese, iniziò ad abbandonare le ville o a frazionarle in appartamenti per poi rivenderli a più proprietari.

Il danno maggiore si ebbe però con il boom edilizio e il terremoto del 1980 che, per soddisfare «particolari» esigenze sociali, fu fatta una ricostruzione priva di attenzione nei confronti dell’ambiente e dei suoi abitanti.


Gli ingredienti delle «delizie» vesuviane sono: lo Sterminator Vesevo, il mare azzurro e l’ingegno architettonico

Le ville vesuviane sono degli esempi architettonici unici nel loro genere perché è unico il contesto socio-culturale in cui sorsero. Esse furono il manifesto culturale e politico della Corte Borbonica, di una classe dirigente e di una nobiltà partenopea. Se avrete la pazienza di leggermi, vi spiegherò il perché, andiamo alla scoperta delle ville vesiviane.


La visione politica di Carlo III di Borbone

Re Carlo di Borbone aveva un ambizioso progetto culturale e politico la cui attuazione comportò una profonda trasformazione sia dell’area costiera sia di alcune zone interne campane.

Egli voleva trasformare Napoli in una grande capitale europea e decise di realizzare un complesso programma di sviluppo urbanistico che divenne il manifesto della sua complessa illuminata visione politica. Tale progetto comportò un nuovo rilancio economico delle cosiddette zone «periferiche» ma strategicamente importanti rispetto al centro storico di Napoli e decise di farle sviluppare attraverso la costruzione di nuovi ed imponenti edifici; fulcri nevralgici di questi nuovi centri divennero le imponenti residenze di Capodimonte, del Palazzo Reale – originariamente costruite lontane dal centro storico ma tale distanza oggi è stata colmata –, di Caserta e di Carditello.

Frutto, invece, di una visione sociale illuminata, continuata anche da suo figlio Ferdinando IV di Borbone, fu la costruzione di nuovi poli industriali d’avanguardia come: il Real Sito di San Leucio, il Real Opificio Borbonico di Pietrarsa e il Real Albergo dei Poveri. Ciò servì non solo a decongestionare la capitale del Regno ma anche per far sentire, come diremmo noi oggi, lo «Stato» più vicino ai sudditi, per controllare meglio l’aristocrazia del Regno e mostrare, inevitabilmente, la potenza della famiglia borbonica.

La scelta di Portici, quindi, si basò sulla bellezza paesaggistica e su motivi strategici poiché la Reggia Porticese inglobò un tratto della Strada Regia delle Calabrie permettendo a Carlo III di Borbone di controllare meglio il traffico mercantile per terra, e fece estendere la sua residenza fino al porto del Granatello per controllare meglio il traffico marittimo.

Il posto ameno e la saggia esenzione fiscale del sito trasformarono Portici da semplice casale in un nuovo centro culturale e dedito al commercio che coinvolse nello sviluppo tutta la zona costiera fino a Castellamare di Stabia.

Uno degli strumenti propagandistici ben sfruttati dal Carlo III fu l’architettura e gli architetti divennero gli attuatori, attraverso i loro bellissimi edifici, dell’ideologia illuministica promossa dal Re e dalla sua classe dirigente. Anche molte ville vesuviane furono progettate dai più importanti architetti del tempo, tra i quali troviamo Ferdinando Sanfelice, i Vaccaro che si costruirono anche una villa andata perduta, Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli e dai migliori allievi delle loro scuole.

Le ville furono lo specchio dell’alta società e nobiltà napoletana, entrambe intrise di una cultura barocca e di una nuova visione illuministica che in Europa, così come nel Regno delle Due Sicilie, si stava affermando.

Ogni villa ha una sua storia affascinate e complessa ma, non potendovele raccontare tutte, posso dirvi che ci sono degli aspetti generali su tali edifici che meritano di essere evidenziati poi, se uno riesce a vederle da vicino, è ancora meglio.

Tali residenze furono costruite prevalentemente durante tutto il Settecento ma il nucleo principale fu realizzato tra il 1745 e il 1765. Quasi tutte le ville presentano soluzioni architettoniche originali tanto da essere considerate, quale più quale meno, pregevoli testimonianze dell’architettura barocca e rococò napoletana che si caratterizzò per l’accentuata teatralità degli spazi e dei particolari ornamentali. Esempi costruiti sul finire del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, invece, risentono dell’influenza neoclassica.

Tali ville furono lo specchio di una nobiltà napoletana ancora intrisa di cultura barocca, tanto da concepire la propria vita come una rappresentazione teatrale e trasformare le residenze in palcoscenici per ospitare incontri politici e simposi organizzati per discutere insieme ai propri pari sulle tematiche più varie e mostrare, contemporaneamente, le proprie ricchezze.

Gli ambienti si presentavano collegati tra loro con soluzioni architettoniche originali in cui ogni stanza, terrazzo, giardino era progettato per affascinare e mostrare scorci paesaggistici in cui si poteva ammirare lo Sterminator Vesevo (così i latini chiamavano il Vesuvio) con il suo pennacchio fumante e il mare azzurro, entrambi usati come delle vere e proprie quinte teatrali che incorniciavano le ville e il loro giardino.

Ogni villa aveva una doppia facciata, quella rivolta verso la trafficatissima Strada regia delle Calabrie si presentava come il prospetto di un palazzo di città ed era abbastanza statica, la facciata posteriore, invece, si caratterizzava per una maggiore vivacità fatta di terrazzi, loggiati e finestre.

Ciò incise profondamente sulla progettazione e distribuzione degli spazi interni ed esterni basati sulla sequenza portone-atrio-cortile-esedra-giardino, poi si accedeva alla zona coltivata; gli ambienti si dispongono lungo questa direttrice in modo simmetrico.

Le scale, che noi usiamo semplicemente per salire ai vari piani, in queste ville divennero delle vere e proprie scenografie architettoniche che, insieme ai ballatoi, consentivano di aprire degli squarci verso «quadri naturali» i quali erano realizzati dalla sapienza del giardiniere e incorniciati dalla bellezza del sito vesuviano (purtroppo l’eccessiva cementificazione non permette più di apprezzare questi scorci).

Villa a San Giorgio a Cremano

Scale di una Villa a San Giorgio a Cremano (Italia)

Stessa attenzione era posta per le scale esterne, dette «scale aperte», con archi rampanti che collegano il giardino con gli interni attraverso terrazzi, logge, grandi finestre, tutto progettato per rimanere «deliziati».

Altro elemento importantissimo nella villa vesuviana era affidato al giardino, lussureggiante in ogni periodo dell’anno, ricco di fontane per fare interessanti giochi d’acqua, panche, statue, coffee house, ninfei, era il frutto di una sapienza agronoma e d’ingegneria idraulica. Purtroppo pochissimi sono sopravvissuti.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(agosto 2017)

Tag: Annalaura Uccella, Italia, Ville Vesuviane, Corte Napoletana, Borboni, Strada Regia delle Calabrie, Ponte della Maddalena, San Giorgio a Cremano, Torre del Greco, Miglio d’Oro, Reggia di Portici, Napoli, residenze settecentesche, ville di delizie, Luca Giordano, Vesuvio, Carlo di Borbone, Portici, principe d’Eldoeuf, Ferdinando IV di Borbone, Real Museo Archeologico di Napoli, San Gennaro, Rococò, Neoclassico Napoletano, Settecento, terremoto del 1980, Sterminator Vesevo, Corte Borbonica, Real Sito di San Leucio, porto del Granatello, Ferdinando Sanfelice, Vaccaro, Ferdinando Fuga, Luigi Vanvitelli, Real Opificio Borbonico di Pietrarsa, Castellamare di Stabia, Regno delle Due Sicilie, Real Albergo dei Poveri.