L’epoca teresiana
Una stagione irripetibile del Settecento mitteleuropeo

La concezione idealistica della storia, interpretando il suo fluire alla luce dei grandi protagonisti che si sono alternati sul proscenio politico del mondo, diversamente da quella materialista secondo cui il concorso delle masse popolari deve ritenersi prioritario, trova in Maria Teresa d’Austria un esempio molto significativo a cui è possibile fare riferimento concreto: non a caso, per indicare la sua forte rilevanza durante il lungo quarantennio di esercizio del potere in un ampio contesto mitteleuropeo, ed anche italiano, si è parlato di «età teresiana».

Maria Teresa ha lasciato un segno indelebile nella coscienza collettiva dei suoi popoli, non tanto perché è stata la sola donna della Casa Asburgica a governare una dimensione geografica imperiale, quanto perché volle farlo in aderenza a valori moderni di moderazione, riformismo, innovazione, tolleranza, politica economica di sviluppo. Avrebbe potuto indulgere alle facili sirene dell’assolutismo, cosa non certo abnorme per la sua epoca: in qualche misura, nonostante la sua fede cattolica, per molti aspetti adamantina, e la scarsa simpatia per le nuove forme di libero pensiero, fu illuminista suo malgrado.

Nonostante la scarsa esperienza di vita pubblica con cui era giunta al trono, a più forte ragione nel governo di uno stato complesso come quello asburgico, in cui le questioni militari si coniugavano incessantemente con quelle civili, Maria Teresa diede prove impreviste di volontà, lungimiranza e fedeltà ai valori che sarebbero diventati lo specchio della sua irripetibile stagione.

Secondo logica, non avrebbe potuto prescindere da una dialettica internazionale basata sull’uso della forza e della competizione, partecipando a conflitti di grande rilievo come la Guerra di Successione Austriaca e la Guerra dei Sette Anni, e giungendo a dichiarare che, se non fosse stata impedita dalle ricorrenti gravidanze, sarebbe scesa in campo al fianco dei suoi uomini. Tuttavia, non ebbe simpatie di natura militarista e seppe anteporre le esigenze del progresso civile a quelle dei suoi Generali.

Non a caso, si sarebbe premurata di affermare che aveva sempre posposto le esigenze di una numerosa famiglia al «bene generale» dei suoi Paesi, perché fermamente convinta che ciò fosse suo preciso dovere, confrontandosi con le dure lezioni della realtà e della storia, ma ricorrendo in maniera crescente al diritto ed alla diplomazia. Eppure, aveva avuto 16 figli, alcuni dei quali scomparsi in tenera età, ed un solido rapporto affettivo con il consorte Francesco Stefano, tanto da entrare in una strettissima ed austera vedovanza a far tempo dal 1765, quando ebbe il grande dolore di perderlo. Al contrario, con i figli non fu aliena dall’assumere atteggiamenti maieutici, se non anche critici: è quanto accadde nei rilevanti contrasti con Giuseppe, suo erede al trono, e con la stessa Maria Antonietta, diventata Regina di Francia, quando le rimproverava una vita «frivola» e soprattutto, inconsapevole di un dramma intimo della figlia, di non avere ancora assicurato la continuità della dinastia capetingia.

Maria Teresa non fu immune da limiti, puntualmente enfatizzati da parecchia storiografia, come i 300.000 caduti nelle guerre della sua epoca, la pervicacia con cui si era impegnata nella mancata riconquista della Slesia, la pur sofferta acquiescenza alla spartizione della Polonia, e l’adesione al cambiamento in quanto «necessario» alla conservazione. In effetti, erano strozzature insuperabili anche alla stregua dei primi lumi settecenteschi, ma furono certamente elise, o quanto meno ridimensionate, dall’opera riformista a tutto campo: basti pensare all’unificazione amministrativa di tanti territori eterogenei; all’assistenza sanitaria ed agli incentivi in materia di salute pubblica; al Codex theresianus in materia di diritti civili ed alla Constitutio criminalis con cui venne abolita la tortura; alla creazione del Consiglio di Stato e della Cancelleria di Corte; all’istituzione della scuola d’obbligo per tutti sino all’età di 12 anni; alla relativa tolleranza in materia religiosa, non disgiunta dall’opposizione alle ingerenze della Chiesa in campo politico (e dall’esilio comminato ai Gesuiti insieme all’avocazione dei loro beni, senza dire dell’ostracismo agli Ebrei).

Nel 1740, quando era salita al trono in seguito alla morte del padre Carlo VI, aveva ereditato una «res publica» in condizioni fallimentari, e dopo 40 anni l’avrebbe lasciata in ben diversa efficienza sul piano economico ed amministrativo, avendo potenziato i suoi caratteri multinazionali anche sul piano dell’organizzazione.

Non aveva trascurato nemmeno una riforma dell’esercito in senso funzionale e competitivo, da cui prese le mosse anche quella fiscale, d’importanza prioritaria per l’acquisizione dei necessari mezzi finanziari, con contestuale revoca degli antichi privilegi a favore del clero e della nobiltà: basti pensare che nel giro di pochi anni, e più precisamente tra il 1754 e l’inizio degli anni Sessanta, si sarebbe giunti al raddoppio delle entrate, e che il Catasto teresiano è pervenuto, in alcuni territori dell’Impero, sino alla nostra epoca, mentre altrove avrebbe lasciato un buon paradigma di riferimento basato sull’equità e sul carattere progressivo dell’imposizione tributaria.

Si diceva dell’Italia, i cui territori asburgici costituivano un’estrema periferia dell’Impero, ma dove l’influenza di Maria Teresa non fu meno significativa. Ad esempio, prescindendo dalle misure giuridiche e fiscali quasi «rivoluzionarie» di cui si è detto, anche nelle arti, ed in particolare nell’architettura e nell’urbanistica l’età della Sovrana d’Asburgo lasciò una traccia indelebile, come a Milano col Teatro alla Scala e l’Accademia di Brera, ed a Trieste dove esiste tuttora il cosiddetto Borgo Teresiano. Del pari, non è fuori luogo rammentare che nel 1859, quando il Parlamento Subalpino approvò il disegno di legge Casati in materia di scuola, il modello da cui aveva tratto ispirazioni salienti fu proprio quello di Maria Teresa.

Nonostante il sofferto e controverso accoglimento della Prammatica Sanzione con cui già dal 1713, quattro anni prima della nascita della stessa Maria Teresa, l’Imperatore Carlo VI aveva statuito la possibilità che una donna salisse al trono di Vienna, non le fu mai possibile cingere la corona del Sacro Romano Impero, diversamente da quanto accadde nei casi dell’Ungheria o della Boemia, e da quello granducale di Parma e Piacenza: d’altra parte, se il valore simbolico di quella corona era di alto livello, non altrettanto poteva dirsi per quanto attiene all’effettivo esercizio del potere.

A proposito di Parma, il cui territorio si estendeva fino al comprensorio apuano, fra i tanti esempi della legislazione teresiana rimasta in vigore sino a tempi quasi contemporanei si può ricordare la normativa in tema di concessione degli agri marmiferi, basata sull’istituto del «settimo» quale corrispettivo da attribuire al concessionario anche in caso di subappalto: cosa che ha coinciso con un ampio sviluppo del comparto, facendolo assurgere ad un primato mondiale di lunga durata.

Nell’esperienza politica di Maria Teresa si è voluto intravvedere un presagio degli Stati Uniti d’Europa: a dire il vero, una realtà tuttora lontana, oggi più di ieri. In effetti, non si può negare che abbia contribuito alla creazione di una coscienza mitteleuropea, sebbene elastica e non immune da contrasti, come avrebbero dimostrato quelli con la Prussia iterati anche nell’Ottocento fino alla guerra del 1866; tuttavia, l’ipotesi di un disegno federale a più ampio respiro sembra oggettivamente azzardata. Del resto, anche Napoleone, pur avendo diffuso suo malgrado l’idea di nazionalità, non fu sensibile ad un presunto spirito europeo, ma a quello imperiale sintetizzato nel cosiddetto «volo dell’Aquila».

Invece, si può ben dire che quello di Maria Teresa, per quanto consentito dalle condizioni oggettive dell’epoca, fu uno «Stato di benessere» tanto più apprezzabile alla luce delle esperienze precedenti: una realtà politica in cui il perseguimento di una benintesa pace sociale all’insegna di un cauto e prudente progresso era diventato obiettivo condiviso di governo e di convinta azione civile.

(maggio 2017)

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