Guy Fawkes
Traditore o eroe?

Un personaggio divenuto famoso per il suo tentativo di far saltare in aria il palazzo del Parlamento Inglese di Londra, con lo scopo di eliminare fisicamente il Re Giacomo I, fu Guy Fawkes. Egli nacque a York nel North Yorkshire nel 1570. Era figlio di Edward, un avvocato del tribunale di York e della chiesa protestante, e di Edith e aveva due fratelli, John e Christopher. In quei tempi, la religione cattolica non era tollerata in Inghilterra, dominata da quella protestante, per cui la vita dei cattolici era in continuo pericolo. Per questo, furono molti i complotti orditi da cattolici contro la Regina Elisabetta I e le conseguenze furono sempre gravi: infatti, quando erano catturati, sia i laici sia i sacerdoti, dopo la tortura, erano giustiziati.

La famiglia di Fawkes era protestante, perciò in regola con l’ordinamento inglese, ma dopo la morte del padre, avvenuta quando Guy aveva otto anni, la madre si risposò con il cattolico Dionysius Bainbridge di Scotton, un villaggio del distretto di Harrogate nel North Yorkshire; e Guy, che ammirava la religione del patrigno, si convertì al Cattolicesimo. E, a dimostrazione del suo attaccamento alla religione cattolica, quando raggiunse l’età di ventuno anni, dopo aver dilapidato l’eredità terriera del padre, partì per la cattolicissima Spagna per partecipare alla guerra, che fu definita «degli otto anni», contro i riformatori protestanti olandesi. Agli ordini di Sir William Stanley, dopo aver combattuto all’assedio di Calais nel 1596, nel 1603 fu nominato capitano e, assunto il nome di Guido in sostituzione di Guy, si adoperò per operare in Spagna per trovare consensi contro il Protestantesimo Inglese a favore dei compatrioti cattolici; ma, sebbene fosse stato ricevuto dal Re Filippo II, non gli riuscì di coinvolgere le autorità spagnole in quel contrasto.

Durante quella guerra, egli incontrò un Inglese, Thomas Wintour, che lo convinse a unirsi al gruppo di cattolici inglesi, contrari agli anglicani, capeggiato dal cugino Robert Catebsy.

Ma perché, nel XVI secolo, in Europa si era creata una così brutta situazione di conflitto continuo? Ebbene, il tutto fu causato dalla serie di contraccolpi dovuti alla Riforma Protestante del 1517 di Martin Lutero, che mise in discussione i contenuti teologici e politici della Chiesa Cattolica, puntando il dito specialmente sul potere del Papa. Con ciò, iniziò il Protestantesimo che causò la divisione della Chiesa Cattolica in Chiese Riformate e Chiesa Cattolica Romana. Le sanzioni subite da Lutero furono pesanti, perché nel 1521 prima fu scomunicato dal Papa Leone X e poi, con l’Editto di Worms, l’Imperatore Carlo V d’Asburgo del Sacro Romano Impero mise al bando quanto da lui propugnato.

Nel 1558 salì sul trono inglese la Regina Elisabetta I, e l’anno successivo fu emanato un decreto nel quale si dichiarava che la Chiesa nazionale era quella protestante. Molti cattolici dissentirono, però non potevano farci nulla, anche perché in quel periodo vigeva nell’intera Europa il principio secondo il quale tutti i sudditi erano tenuti ad accettare la religione ufficiale; quindi il culto cattolico fu proibito, eliminando battesimi, matrimoni, funerali. I preti inglesi, che erano stati a studiare all’estero, erano trattati alla stessa stregua dei traditori e nei guai finivano pure coloro che li proteggevano e davano loro asilo. Bisognava adeguarsi o incorrere in pesanti sanzioni, come, per esempio, non partecipare alle funzioni della Chiesa ufficiale. Tutti coloro che operavano in attività pubbliche dovevano prestare giuramento di fedeltà alla Regina e rinnegare il potere del Papa.

In questo regime tanto rigido, non era possibile che tutti chinassero la testa e non pensassero, al contrario, di fare qualcosa che potesse mettere fine al potere dittatoriale dello Stato. E non solo questo pericolo preoccupava la Corte, giacché pareva che la cattolicissima Spagna volesse intervenire per aiutare i cattolici britannici.

Era una situazione che non prometteva nulla di buono, anche perché i protestanti ricordavano chiaramente ciò che di malvagio e perverso loro stessi avevano sofferto in precedenza, quando sulla cresta dell’onda erano i cattolici. Facevano riferimento ai 289 protestanti mandati al rogo in cinque anni dalla inumana cattolica Maria I e alla successiva bolla papale del 1570, con la quale si dichiarava la Regina Elisabetta I illegittima e stimolava alla ribellione. Senza dimenticare l’intervento dell’«Invincibile armata», inviata dal Re Spagnolo Filippo II per far tornare al Governo dell’Inghilterra i cattolici: intervento che si risolse a favore degli Inglesi, mentre per gli Spagnoli fu una vera e propria «debacle».

I cattolici dominavano su tutta l’Europa, artefici di atrocità oltre ogni misura, come per esempio il loro comportamento, nel 1576, quando si accanirono in modo bestiale, con episodi inenarrabili per la ferocia e la cattiveria perpetrata, contro i protestanti.

Nel 1603, salì sul trono di Londra Giacomo I, figlio della cattolica Maria Stuarda. I cattolici speravano che il nuovo Sovrano, pur essendo lui protestante, potesse maggiormente rispettare coloro che professavano una religione diversa, e di avere un periodo di pace e tranquillità. Fu l’impressione anche degli inviati spagnoli, tanto da convincerli a smettere di stimolare una sommossa cattolica, mentre ci fu un sospiro di sollievo in tutta l’Europa. E a dar ragione a quel senso di pace contribuì il trattato di Londra del 1604, con il quale si stabiliva da un lato che l’Inghilterra cessasse di aiutare i protestanti olandesi e dall’altro che la Spagna smettesse di aiutare i cattolici inglesi. E sembrava che tutto procedesse per il meglio, ma, al contrario, il Re, non tollerando la presenza dei cattolici, inasprì il suo «modus operandi», continuando nella sua opera di persecuzione. Era divenuta una situazione pesante che fu sufficiente a galvanizzare un gruppo di cattolici, di cui facevano parte Fawkes e Wintour, ritornati in patria l’anno successivo, che si coalizzò e decise di compiere un atto che potesse eliminare il Sovrano, per sostituirlo poi con la sua figlia, principessa Elisabetta. I cospiratori si trovarono il 20 maggio 1604 nella locanda Duck and Drake Inn nel ricco quartiere di Strand, per definire le modalità dell’impresa. Dopo accalorate discussioni, si giunse alla definizione dell’attentato.

La scelta del metodo per compiere il misfatto (per i cattolici, un atto di giustizia) cadde su un mostruoso progetto, che consisteva nel fare saltare in aria l’intero palazzo del Parlamento, travolgendo e uccidendo tutti coloro che vi erano presenti (Re, Regina ed erede al trono, oltre ai Parlamentari). Per compiere un tale scempio, era stata scelta la polvere da sparo, che i rivoltosi sistemarono nello scantinato del palazzo. La mina consisteva in 36 barili di polvere da sparo, già innescati con micce che, probabilmente, qualora fossero scoppiati, non si sarebbero accontentati di distruggere il Parlamento, ma avrebbero coinvolto nel crollo anche altri fabbricati del vicinato.

La ragione di ciò che si sta dicendo sta nel fatto che nessuno dei partecipanti all’impresa aveva la benché minima conoscenza sia dell’esplosivo, sia della sua potenza e sia dei possibili risultati di uno scoppio; comunque, diciamola così: si erano messi dalla parte della sicurezza nella ferma convinzione che, con lo scoppio di quel quantitativo di polvere da sparo, avrebbero ottenuto ciò che speravano, eliminando il male del Regno alla fonte.

Il mese successivo, uno del gruppo, Thomas Percy, riuscì, con una scusa valida, ad avere il permesso per entrare in un palazzo confinante con la Camera di Comuni, mentre Fawkes, con il nome fasullo di John Johnson, ne divenne il portinaio; poi, affittarono una cantina, posta proprio sotto il Parlamento, talmente sporca e lercia che nessuno si sarebbe presa la briga di andare a curiosare in quella immondizia; perciò, trovare lì un nascondiglio che dava tutte le garanzie fece stare tranquilli gli attentatori. La data fatidica, che doveva essere il 26 luglio 1605, a causa delle epidemie in atto e dei pericoli di contagio, slittò all’autunno e Fawkes ne approfittò per andare in giro a caccia di simpatizzanti alla congiura. Una volta lui rientrato, il gruppo si riunì e decise che il botto sarebbe stato proprio lui a causarlo.

Sembrava che tutto procedesse come era stato programmato sia da parte della Corte (presenza della famiglia reale e dei membri del Parlamento il 5 novembre di quell’anno, in occasione dell’apertura delle sessioni parlamentari dell’anno 1605), sia da parte dei cospiratori (scoppio dell’esplosivo nello scantinato, passato alla storia come la «congiura delle polveri»).

Ma il piano, che sarebbe dovuto restare rigorosamente segreto, presentò una grande falla, in quanto – non è dato sapere come ciò sia avvenuto – ci fu qualcuno che venne a conoscenza dell’attentato «in fieri». Mentre fu un guaio per i cospiratori, fu una sfacciata fortuna per la famiglia reale e i parlamentari del Governo. Lo sconosciuto scrisse una lettera a Lord Mounteagle, un nobile cattolico che avrebbe dovuto partecipare alla riunione, comunicandogli il pericolo che avrebbe corso e raccomandandogli di bruciarla. Questi, non solo non la bruciò, ma la fece pervenire al Re, che inizialmente non le diede grande credito, ma poi, ripensandoci, probabilmente si disse che «non si sa mai».

Con ciò, si pensò a come correre ai ripari e, senza farne menzione, fu organizzata dai Parlamentari la seduta a mezzanotte del 4 novembre 1605, praticamente «invitando» i cospiratori a continuare nei loro progetti.

Il giorno 4 novembre, il conte di Suffolk, con un gruppo di uomini, fece un’accurata ispezione nel palazzo di Westminster e nei dintorni senza trovare nulla di sospetto, a parte l’essere venuto a conoscenza che una cantina era stata affittata a un privato e che conteneva una grande quantità di legna da ardere; ma ciò non fu sufficiente a insospettirlo. E, sempre nello stesso giorno, ci fu un’altra ispezione, condotta dal funzionario governativo Thomas Knyvett, che nella cantina di cui sopra trovò un guardiano che non ne aveva per nulla l’aspetto, avendo un mantello, stivali e speroni caratteristici di un cavaliere. Lo trovarono in possesso di una lampada di ferro, un innesco, un orologio, per il coordinamento dei tempi, e lunghe micce. Durante il sopralluogo, le guardie disinnescarono l’esplosivo e arrestarono Fawkes, perché di lui si trattava, che fu condotto al cospetto del Re, davanti al quale dichiarò di chiamarsi John Johnson. Non si dimostrò per nulla impaurito, tanto era convinto che la missione fosse un fatto dovuto per il bene della comunità e dei cattolici in particolare; invero, si dimostrò sprezzante, se si vuole anche altezzoso, e alla domanda su quale fosse lo scopo dell’attentato, la risposta fu coraggiosa, spregiudicata e tagliente, cioè che era desiderio suo e dei suoi compagni del gruppo di uccidere il Re e di «riportare» lui e la sua Corte in Scozia, fra le natie montagne pezzenti e puzzolenti.

Si deve dare un punto di merito a Giacomo I, che fu ammirato dall’atteggiamento assunto dal cosiddetto John Johnson, tanto da paragonarlo a un antico Romano. Ma, malgrado ciò, il Re non esitò nemmeno per un attimo a farlo torturare il giorno 6 novembre, qualora non rivelasse il nome dei complici, raccomandando, però, che si iniziasse con torture leggere per passare a quelle più pesanti se fosse stato ritenuto necessario. E ciò si verificò nella Torre di Londra, dove fu massacrato e straziato fra sofferenze fisiche atroci e inumane, finché non riuscendo più a resistere, rispose a tutte le domande degli inquisitori torturatori spiattellando i nomi dei cospiratori del gruppo e tutto quanto concerneva l’attentato. A seguito di ciò, poté essere avviato il processo presieduto da John Popham, che si concluse con la condanna a morte dei cospiratori per impiccagione e successivo frazionamento dei corpi, che consisteva in decapitazione, squartamento, estirpazione dei genitali, estrazione di cuore e intestino e, infine, riduzione in pezzi di quanto rimaneva dallo scempio, da lasciare all’aperto in pasto agli animali.

Il 5 novembre 1605, fu comunicata la notizia che la Corte si era salvata quasi per miracolo da quel complotto e a Londra furono accesi falò di ringraziamento, naturalmente da parte dei protestanti.

Da allora, tutti gli anni, a quella data, si celebra la «notte di Guy Fawkes» con fuochi di falò e l’intervento dei bambini che ne hanno fatto un gioco.

La congiura del gruppo fu quasi dimenticata, dopo essere stata considerata con sufficienza, ritenendola una buffonata, fino a quando lo scrittore inglese William Harrison Ainsworth non pubblicò il romanzo storico The Gunpowder Treason (Il Tradimento della Polvere da Sparo), nel quale presentò il complotto sotto una luce diversa, tanto che piano piano Fawkes divenne un specie di eroe d’azione; e quell’opera fu seguita da tante altre, particolarmente per bambini e ragazzi.

Insomma, una specie di icona entrata prepotentemente nella cultura di oggi, quale simbolo di ribellione ai maltrattamenti causati da una diversa fede religiosa.

(dicembre 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Guy Fawkes, Re Giacomo I, cattolici, protestanti, Thomas Wintour, Maria Stuarda, Parlamento, polvere da sparo, Lord Mounteagle, conte di Suffolk, Thomas Knyvett, tortura, condanna a morte, William Harrison Ainsworth.