Luigi XIV
Una vita non invidiabile

Luigi XIV

Hyacinthe Rigaud, Ritratto di Luigi XIV, 1700-1701 circa, Museo del Louvre, Parigi (Francia)

Il Re di Francia Luigi Diodato XIV di Borbone, il cosiddetto «Re Sole» («Le Roi Solleil») e pure Luigi il Grande, nacque a Saint-Germain-en-Laye il 5 settembre 1638, primogenito della coppia reale Luigi XIII e Anna d’Austria. Alla morte del padre, avvenuta nel 1643, all’età di cinque anni scarsi, gli succedette sul trono, sotto la tutela del Cardinale Mazzarino. Si trattò di un periodo molto complesso, confuso, a causa dei dissidi esistenti fra diverse fazioni di aristocratici, parlamentari, contadini, religiosi sui quali il Re finalmente riuscì a mettere freno in occasione della morte del Cardinale nel 1661, quando lui aveva 23 anni, cercando di mettere un po’ di ordine, mostrando il pugno di ferro. La popolazione di qualsiasi ceto fosse era tenuta all’obbedienza e pure la religione non era libera, come dimostrano le sue condanne del giansenismo (corrente teologica ispirata alla dottrina di Cornelis Jansen – Giansenio – Vescovo di Ypres) e del protestantesimo (riforma di Martin Lutero); inoltre aveva sostituito l’Editto di Nantes del 1598 di Enrico IV, che dava certi diritti militari, politici e territoriali ai protestanti, con l’Editto di Fontaineblau del 1685. Del resto, il motto «L’État c’est moi» («Lo Stato sono io»), sul quale Luigi XIV basava il suo regno, chiariva che il suo governo era fondato sull’assolutismo monarchico e dittatoriale, vale a dire che tutti i poteri dello Stato erano tenuti sotto il suo pugno di ferro in base a diritti divini legittimi.

Durante il suo interminabile regno, nel quale superò tre pesanti guerre, accrebbe l’importanza della Francia in seno all’Europa, sia militarmente sia culturalmente, divenendone un po’ il faro cui fare riferimento.

Il suo regno durò senza interruzioni fino alla sua morte nel 1715, dopo la bellezza di 72 anni, 3 mesi e 18 giorni: un primato mai raggiunto da nessun altro Sovrano.

Non c’è alcun dubbio che sia stato uno dei più grandi, forti e potenti Monarchi che abbiano calpestato il suolo terrestre, sicuramente osannato e invidiato da tantissimi alti personaggi che hanno costellato la storia dell’umanità. Fisicamente non era un personaggio imponente, tutt’altro, essendo basso di statura, per cui cercava di non farlo notare utilizzando tacchi alti.

Il suo regime era improntato sulla centralità, che materializzò con la costruzione di un palazzo esageratamente grande a Versailles, dove si circondò di una folla di circa 5.000 cortigiani e del doppio di vari inservienti tuttofare.

Tuttavia, in verità, era un pover’uomo dal punto di vista della salute, perché fu nel mirino non di tutte, ma sicuramente di una buona fetta delle malattie che affliggevano l’uomo ai suoi tempi (l’imperfetto è d’obbligo, giacché la medicina moderna è riuscita a debellarne parecchie, mentre purtroppo, in un normale divenire, altre hanno bussato violentemente alla porta e tuttora stanno dettando legge); e rileggendo tutto quanto ha riguardato questo lato della sua vita, forse l’invidia ha diminuito l’importanza del suo ruolo, lasciando posto a compassione e a pietà.

Infatti, egli è stato vittima di tantissime malattie, alcune evitabili con un comportamento di vita corretto, altre forse no. Certo è che quest’uomo, che ha vissuto per quasi 77 anni, raggiungendo un’età ritenuta fuori norma in un’epoca in cui l’età media era di 45 anni, non condusse quasi mai una vita tranquilla come si riscontra nel Diario della salute del Re Luigi XIV (Le Journal de la santé du Roi Louis XIV), tenuto dai medici di Corte per ben 58 anni: in realtà, è stato vittima, a partire da quando era bambino, delle più diverse malattie, tanto dal suscitare meraviglia il fatto che sia sopravvissuto alle stesse fino a quell’età.

Del resto non è colpa dei medici di allora, se tante malattie infettive colpivano senza tanti riguardi la popolazione: il guaio era che fra l’altro la medicina non aveva ancora scoperto l’esistenza di organismi portatori delle stesse (virus e batteri) e, pertanto, non conoscendoli, non poteva nemmeno tentare di sgominarli. D’altra parte, in quel periodo, non era tenuta nel debito conto l’igiene personale, perché era opinione diffusa che, qualora si lavasse il corpo con acqua, questa ne avrebbe aperto i pori, favorendo l’ingresso a tutte le malattie del mondo fra cui quelle infettive, allora sconosciute; per eliminare la sporcizia della pelle, si cambiavano i vestiti più volte durante il giorno, perché si riteneva che fossero quelli puliti ad assicurare l’igiene. Per questo timore, il bagno era abolito dalle norme della cura giornaliera del corpo; e, naturalmente, la mancanza di pulizia comportava la diffusione in giro di olezzi (ma, se si vuole, poco male, perché era un «pregio» di tutti) poco piacevoli per combattere i quali si ricorreva all’uso di essenze e profumi, ma con risultati spesso scoraggianti. E in tale «salubre» situazione, il Re in tutta la sua vita subì il «martirio» del bagno per ben... tre volte, di cui una quand’era ancora piccolo. Anzi, secondo il Journal, il bagno fu fatto solamente due volte, una da piccolo e una da adulto e solamente per diminuire gli effetti della bromidrosi, malattia causata dalla grande sudorazione con formazione di colonie di batteri che comportava l’emissione di fetori mefitici.

Ancora bambino, si ammalò di vaiolo, che si sviluppò con febbri molto forti e con la comparsa di foruncoli un po’ dappertutto, e più tardi si ammalò di herpes (una malattia infettiva e contagiosa causata da un virus) e di erisipela (infezione acuta della pelle). Inoltre, soffrì per una cisti mammaria, meno male risolta con un piccolo intervento chirurgico.

Già da ragazzo era afflitto da crisi epilettiche alle quali si aggiungeva il sonnambulismo, associato a incubi notturni che peggiorarono con il trascorrere del tempo; in età matura, lo prendevano attacchi tanto tremendi da farlo urlare nel sonno e causargli bruschi risvegli; e tutto questo quando la dissenteria era diventata una compagna inseparabile. La causa di tutto questo scompenso si ritiene fosse da attribuire alla disidratazione e alla perdita di sali minerali. Non è da escludere che la disidratazione fosse da addebitare allo stato miserevole della sua pelle, ai reumatismi che lo tormentavano, al formarsi di calcoli renali. A completare quel quadro disastroso ecco la bromidrosi, una patologia dovuta all’eccessiva secrezione e fermentazione del sudore, che favoriva la proliferazione di colonie batteriche concentrate nelle zone ricche di ghiandole sudorifere; da ciò, associato alla mancanza di pulizia del corpo con acqua e, magari, con sapone, l’insorgere della formazione di dolorosi ascessi sotto le ascelle e l’emanazione di disgustosi effluvi puzzolenti.

Ancora giovanotto, a seguito della sua intensa vita sessuale, caldeggiata dalla madre al punto procurargli lei stessa la compagnia della baronessa di Beauvais, Catherine-Henriette Bellier, incappò nella gonorrea, infezione dovuta a batteri, trasmissibile per via sessuale. Questa delicata malattia del Sovrano fu contrabbandata dai suoi medici ai sudditi come il risultato del troppo assiduo cavalcare.

Poi, si ammalò di febbre tifoide per l’ingestione di acqua infetta, il cui risultato più evidente fu la perdita totale dei capelli, alla quale si oppose con l’uso della parrucca, alta e fluente, di cui obbligò l’utilizzo a tutti i cortigiani, facendola diventare un accessorio di moda che, fino al XIX secolo, invase l’Europa e migrò pure nel continente americano.

Indi fu il momento della scarlattina, seguita dal morbillo, con il quale chiuse, finalmente, la serie delle malattie esantematiche, cioè di quelle che provocano eruzioni cutanee, accompagnate da disturbi vari.

Bisogna dire che lui non si rendeva conto che non passava giorno che non ci fosse qualche novità nella sua salute. Tutto sommato, si riteneva – si potrebbe dire – inossidabile, come dimostra la sua abitudine di viaggiare in carrozza con i finestrini aperti con qualsiasi tempo, per mostrare ai suoi sudditi che non temeva le inclemenze del clima.

Un altro fatto negativo per la sua salute, però, riguardava la sua golosità a tavola, che stimolava il suo formidabile appetito, tanto da farlo diventare obeso, stato che gli procurava indigestioni a non finire, accompagnate da dolorose cefalee e antipatiche ed estenuanti diarree. D’altra parte, non ci si poteva attendere altro, considerando la lista delle vivande consumate all’ora di pranzo e a cena (minestra, cacciagione, suino, verdura, uova sode, dolci, eccetera), mentre di notte si teneva vicini piatti di carne fredda e dolci, caso mai si fosse svegliato con il desiderio di uno stuzzichino. Il rivolgere la sua preferenza per la selvaggina era dettata dalla convinzione che quella scelta lo distinguesse (come doveva essere, essendo il Sovrano) dai suoi sudditi, che si nutrivano semplicemente di pane, legumi e suini, quando c’erano. Però un’alimentazione tanto ricca di proteine animali comportava problemi di defecazione, per cui nel XVII secolo si riteneva che i clisteri fossero un toccasana, in quanto garantivano una buona salute, tanto da diventare di gran moda presso la Corte Parigina. E si riporta che durante tali interventi (si ritiene che ne abbia subiti attorno a 2.000) ricevesse la visita di funzionari e altri personaggi. L’eccesso del consumo di carne lo portò direttamente a soffrire di gotta. Inoltre, l’uso smodato di carne e dolci, gli rovinò le difese immunitarie e ne minò la forza di resistenza contro le malattie, sicché, come risultati, si fecero presenti ascessi e carie dentarie. A proposito degli ascessi dentari, l’unica soluzione, per quei tempi, era l’estrazione dei denti malati, naturalmente senza anestesia; ma i dentisti non erano al massimo, allora, e l’estrazione fu talmente mal condotta, che, con i denti, se ne venne anche un pezzo del palato, causandogli dolori e difficoltà nell’alimentazione; solamente cure e tempo servirono a farlo tornare alla quasi normalità, cioè a tornare a mangiare a quattro palmenti com’era sua consuetudine.

Sicuramente interessante è ricordare quanto succedeva in merito a una malattia che colpiva tanta gente: la scrofolosi, una forma di tubercolosi dovuta a micobatteri che colpisce le ghiandole linfonodali del collo e che provoca la formazione di rigonfiamenti infetti con emissione di cattivi odori, che mettono il colpito in difficoltà nei rapporti sociali. Era entrata nella consuetudine, per curarla, ricorrere al «tocco regale», cioè all’imposizione della mano destra nuda del Sovrano sulle piaghe del malato; il «risanamento» avveniva di fronte a un pubblico formato da migliaia di persone. Tale trattamento era iniziato tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo dopo Cristo sotto il regno di Roberto II il Pio, in Francia, e di Edoardo il Confessore, in Inghilterra, e continuò con i loro successori; in Italia, chi praticò la cura fu il Re di Sicilia e Gerusalemme, Carlo I d’Angiò. Anche il Re Luigi XIV continuò a curare i tantissimi affetti da scrofolosi, fino alla fine della sua vita.

Nei primi mesi del 1686, un ascesso gli procurò la formazione di una fistola anale, che gli dava dolori lancinanti e problemi intestinali, quali la dissenteria e la diarrea che venivano curate con salassi e clisteri. Con un problema di quel tipo, chiaramente il Re non poteva più cavalcare e, se voleva respirare una boccata d’aria nel parco, era costretto a usare una portantina. Tale stato fisico lo costringeva a doversi ritirare spesso per lungo tempo nel gabinetto o a sedersi sul mobile denominato «comoda»; però, tali necessità non dovevano fermare l’esigenza di incontrare Ministri e dignitari per affrontare i problemi di Stato, tanto che il poter entrare a parlare con il Sovrano, quando era in quelle posizioni, egli, invece che sentirsi imbarazzato, l’aveva fatto diventare un privilegio, riservato a pochi favoriti. Certo è, comunque, che quel disturbo non si poteva sopportare a lungo. Per i cortigiani era un disturbo causato da un «tumore nella coscia», ma ben presto la notizia della vera natura del disagio divenne di dominio pubblico, attivando le discussioni fra medici generici e chirurghi se eventualmente intervenire. Chi avrebbe dovuto operare era il chirurgo di Corte Charles-François Félix, il quale, prima di decidere sul da farsi, volle rendersi conto di ciò che ci fosse in giro di analogo, giacché era in ballo la sua carriera e, forse, non solo. Pertanto, si informò presso l’ospedale di Versailles sugli interventi sperimentali di questo tipo là fatti ed ebbe la conferma che erano stati tanti e che per diversi pazienti era subentrato il decesso, come fu confermato dal parroco di Versailles, François Hébert, che disse che i poveretti furono seppelliti in silenzio, senza l’accompagnamento di campane a morto, affinché non si sapesse che cosa stesse accadendo. Però, come si dice, bere o affogare, e il chirurgo si costruì lo strumento che secondo lui era il più adatto (il bisturi definito «piegato alla Royal») e si preparò per la grande e pericolosa impresa. Il Re, dopo aver trasferito la Corte a Fontainebleau, tornò a Versailles pronto a subire l’intervento, che avvenne alle ore 7 del 18 novembre 1686, senza che nessuno ne fosse informato, alla presenza dei medici Félix, Bessieres, Fagon e La Rye, mentre la madame de Maintenon gli teneva la mano. L’intervento, senza anestesia, durò tre ore, ma alla fine l’esito fu positivo, con grande soddisfazione di tutti, Re compreso.

Il fatto fu risaputo in giro, dando una grande fama al dottor Félix, che dovette operare diversi membri della Corte, anche se non ne avevano la necessità (bah!). Luigi XIV dovette subire altri due interventi analoghi, ma poi tutto finì per il meglio e si tennero molte feste sia civili sia religiose per ringraziare il Cielo per la salute recuperata dal Re.

Naturalmente, l’intervento cui fu sottoposto il Re senza anestesia, lo rese più vicino al popolo, rafforzando la Monarchia. Inoltre, l’operazione diede lustro ai medici chirurghi che, precedentemente, facevano parte della corporazione dei barbieri e dei parrucchieri e, poiché erano a contatto con il sangue, erano considerati dei veri e propri macellai.

Intanto, per non perdere l’abitudine, il Sovrano si ammalò di malaria.

Verso il 1788, la sua salute si mostrava abbastanza precaria, essendo di molto invecchiato e con risorse fisiche in disarmo; per spostarsi negli ambienti della reggia usava una sedia a rotelle, mentre anche solamente per prendere un po’ d’aria nel parco doveva farsi portare dalla portantina. Non dimenticava di indossare la parrucca alta e fluente e ne imponeva l’uso a tutti i cortigiani.

Chi pensava che Luigi XIV potesse trascorrere gli ultimi giorni della sua vita abbastanza serenamente prese un solenne granchio. Infatti, nell’estate del 1715 cominciò ad accusare un forte dolore a una gamba, che fu diagnosticato dallo stuolo dei suoi medici come una dolorosa sciatica e, come tale, tentarono di curarla usando tisane e vino come medicinali, ma ben presto, mancando il desiderato miglioramento, essi approfondirono i loro studi e giunsero all’amara conclusione che si trattava di cancrena, dovuta forse a una precedente ferita non o mal curata, che provocava la cosiddetta necrosi, cioè la morte dei tessuti. Questa contribuì a minare ulteriormente la già compromessa salute del Sovrano, tanto che il 1° settembre 1715, Luigi XIV lasciò questo mondo finendo, così, di soffrire per tutti disturbi e le malattie che l’avevano perseguitato per tutta la vita, quattro giorni prima del compimento del suo 77° compleanno.

Purtroppo, la situazione lasciata dal Sovrano alla Francia era tutt’altro che idilliaca, essendo galoppante la crisi economica e finanziaria, tanto che lo Stato si trovò in una crisi finanziaria tale che, come un bubbone gigantesco, scoppiò alla fine del secolo XVIII nella grande Rivoluzione Francese, che pose fine alla Monarchia. Il popolo, esaurita l’ammirazione avuta in precedenza per il suo Sovrano, esultò per la sua morte, festeggiandola con canti, balli e tutto quanto era connesso.

Fu seppellito nella basilica di Saint Denis, tomba dei Re Francesi, dove rimase fino a quando i rivoluzionari ne profanarono le tombe e il defunto Re fu inumato in una fossa comune di cui si sono perse le tracce.

(aprile 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Luigi XIV, Re Sole, Saint-Germain-en-Laye, Cardinale Mazzarino, Giansenio, Editto di Nantes, Editto di Fontaineblau, Francia, Diario della salute del Re Luigi XIV, baronessa di Beauvais, Catherine-Henriette Bellier, Charles-François Félix, Saint Denis.