Giovan Battista Truchi di Marene
Le ambizioni commerciali e marittime di un Ministro Piemontese del secolo XVII. Un Cavour ante litteram?

La storia del piccolo Regno Sabaudo non brilla certamente di liberalismo. Ancora nel XIX secolo, nonostante i tentativi di alcuni suoi illustri personaggi come Lorenzo Valerio, Quintino Sella, o lo stesso Cavour, di adoperarsi per fare dello Staterello Sardo un contesto meno provinciale e legato ad un passato di antico regime, l’economia del Paese stentava a decollare. Eppure il nome di un uomo politico piemontese, Giovan Battista Truchi, emerge già nel XVII secolo come figura di mediazione tra una nobiltà tradizionalista ed una borghesia che tentava in ogni modo di emergere; ciò in linea con la tradizione francese del periodo, tesa a rafforzare il ruolo monopolistico e di struttura sul piano economico della monarchia medesima.

L’uomo politico piemontese nacque a Marene (Savigliano, in provincia di Cuneo) nel 1617 ed ivi morì nel 1698. Fu un alto funzionario amministrativo che riunì nel 1672 il doppio ufficio di Primo Presidente e di Capo di Consiglio di Finanza, divenendo il più influente Ministro del Duca di Savoia Carlo Emanuele II e poi della reggente Giovanna di Nemours. I Duchi Sabaudi lo fecero barone nel 1673 e conte nel 1683, soprattutto per la sua capacità di risanamento del bilancio, per una politica favorevole alla borghesia, che agevolava la stessa monarchia. Suo scopo prioritario fu quello di contrastare la supremazia nobiliare che tendeva a condizionare pesantemente l’istituzione monarchica.

Giovan Battista Truchi di Marene divenne ammirato per alcuni suoi progetti relativi al miglioramento del catasto, che vennero in verità realizzati in epoca successiva. Un Cavour ante litteram? Certamente un personaggio su cui riflettere, la cui opera fu rivista dallo storico ed erudito Giovanni Sforza[1] il quale, attraverso la collaborazione con lo storico Giuseppe Prato[2] seppe far conoscere ai suoi contemporanei il personaggio, come si evince da una miscellanea dedicata allo storico toscano.[3]

L’ambasciatore veneto Balegno gratificò il Truchi dell’appellativo di «Colbert piemontese», mettendo ancor più in evidenza con tale affermazione l’abissale distanza tra la monarchia francese ed il piccolo Ducato. Pur tuttavia questo paragone conteneva un fondo di verità (volutamente?) azzardato.

Giuseppe Prato definì l’adulazione iperbolica, in quanto sembra difficile scoprire giustificazione sufficiente in opere importanti e durevoli da lui (Truchi) effettivamente compiute nel campo economico, durante gli anni nei quali, come presidente e generale delle finanze, come primo presidente delle fabbriche e capo di quel consiglio e «nuovamente istituita camera di commercio, attivamente diresse la pubblica amministrazione».

Quello che è certo, «incitando le favorevoli disposizioni del suo ben intenzionato, ma non sempre facile padrone, egli si adoperò a promuovere nel Paese, stremato da calamità, un qualche risveglio economico». Denunciò coraggiosamente al Duca le miserabilissime condizioni di molte comunità rurali, suggerì rimedi efficaci ai loro più urgenti bisogni. Firmò il primo ordine relativo a quel catasto che fu rivisto nel Regno successivo.[4] La sua iniziativa permise di trasformare la Venaria in borgo industriale e commerciale. Il suo nome lo leggiamo in calce a quasi tutti gli editti, le ordinanze, le patenti che miravano a rinfrancare le energie fiaccate dalle molte avversità. Nella sua corrispondenza col Duca troviamo traccia di un sincero interessamento alle sorti di quel ceto medio da cui egli proveniva.[5]

È altresì vero che l’autentico Colbert ed al tempo stesso il Richelieu del Piemonte fu Vittorio Amedeo II, la cui azione riformatrice investì veramente l’intera compagine amministrativa, finanziaria, economica dello Stato, che egli riuscì a riplasmare. In ogni caso l’interesse verso il Truchi dobbiamo cercarlo nel suo essere un anticipatore di politiche successive, capace di cogliere non solo situazioni ma stati d’animo che all’epoca la società civile suggeriva. Egli scrisse un saggio[6] attraverso il quale, nonostante le deformazioni di stile tipiche del Seicento, richiama la nostra attenzione sulle questioni geografico-economiche, che furono discusse nella politica regionale, connettendosi ad un discorso più vasto di libertà di comunicazioni dello Stato con l’estero.

Della conquista di Nizza, Casa Savoia comprese, fin dagli inizi, la grande importanza per l’accesso al mare. Le vicende politiche e le difficoltà che emergono dallo scritto del Truchi evidenziano quanto a lungo vicende politiche e difficoltà naturali si opposero alla volontà di risolvere, con la questione portuale, quella più generale delle strade d’accesso e di collegamento. Fu proprio il Sovrano di riferimento del Truchi, Carlo Emanuele II, a sviluppare il disegno cui poi egli dette corpo con franchigie, patenti, prestiti gratuiti a commercianti, «chiamate di Ebrei Olandesi», invio di navi a Londra, stabilimento di un consolato in Portogallo,[7] col trattato di commercio stipulato il 10 gennaio e il 20 marzo 1670 con l’Inghilterra, alimentando quelle aspirazioni commerciali intrecciate ad alleanze politiche del casato sabaudo.[8]

Il Truchi si adoperò per valorizzare il porto di Nizza con un grandioso piano di lavori pubblici nella regione retrostante, al punto di cercare di «fare il buco alla Colla di Tenda e fare un naviglio che venisse in Po da Coni, rendere anche la Dora navigabile da Susa a Torino e far accomodare tutte le strade del Paese per il commercio». Se l’insufficienza dei mezzi frustrò in gran parte le sue ottime intenzioni, al punto che ancora un secolo più tardi si discuteva sull’utilità e sul modo di avviare a Nizza commerci «più frequenti», questo nulla toglie al valore storico del voler affrontare la questione, che ebbe parte tanto significativa nei propositi legislativi. E, come documento di una mentalità la cui prevalenza nell’Europa del secolo XVII doveva segnare la fine della rigida compressione dello spirito feudale, il suo operato è testimone dell’apertura di quella strada volta ad un sistema economico preparatore ed al tempo stesso precursore della radicale rivoluzione successiva. Le ardite imprese coloniali che, a partire dal Cinquecento, erano andate a sconvolgere l’intero assetto degli equilibri politici ed economici del vecchio mondo, avevano destato anche fra i popoli «a ciò meno preparati una febbre di avventurose iniziative, una sete di facile arricchimento, una irrequieta smania di cose nuove e di nuovi orizzonti».

In Francia questi disegni politici emersero assai precocemente, invertendo la scala dei valori sociali e morali sin lì prodotti. Più lento e meno appariscente poté procedere il movimento di disgregazione della antica società nei Paesi di struttura economica più arretrata, quale appunto il Piemonte. Ancor più sintomatico perciò ogni indizio di atteggiamenti analoghi a quelli francesi, sia sul piano intellettuale che sociale, perché l’ambiente piemontese «per tradizione, per difetto di opportunità e di occasioni, ne era così refrattario».

Incontrare alla corte di Torino un Ministro le cui aspirazioni, sia pure come semplice riflesso, si volgessero a lontane méte di espansione marittima e commerciale, sproporzionate senza dubbio ai mezzi, alle attitudini, alle forze del non ricco né troppo ardimentoso Paese, rappresentava un incontestabile segno della universalità di diffusione che le nuove idee avevano, in pochi anni, raggiunto, del potere di attrazione che già ovunque esercitavano.

Dobbiamo soprattutto considerare le difficoltà economiche del secolo e del contesto descritto per comprendere la reale portata delle idee innovative di Giovan Battista Truchi di Marene.

Un anonimo autore di alcune curiose notizie sopra il commercio, presentate in quegli anni al Sovrano Sabaudo[9] così descrisse la condizione economica del piccolo Regno: «L’agricoltura qui la vedo e non la vedo, perché, quantunque paiano le campagne ben coltivate e fertili, fatto poi riflesso alle tempeste, fallanze e spese, e al poco valore delle vettovaglie, il povero agricoltore stenta ad andare a capo dell’anno. Quanto al commercio, non me lo scorgo niente del tutto; dunque come si può vivere?».

È vero che «la città di Torino» (scrive un anonimo del tempo) «appare, nella modestia della sua cerchia, come una di quelle città secondarie dell’Italia moderna, non ancora sviluppate, alquanto sonnolenti e fiacche, che non hanno ricchezza né mezzi propri ed aspettano un avvenimento opportuno che le scuota e le spinga sulla via del progresso e di quel benessere che agognano, ma che non sanno procacciarsi da sé. La corte: ecco la sorgente della vita, dell’attività, dell’agiatezza e del traffico della città nel 1705; mentre le industrie o non esistono o sono poveramente rappresentate, le arti sono affidate ad imbrattatori, le scienze sono scarsamente coltivate; la maggior parte della popolazione campa del lavoro di alcuni pochi, dell’elemosina di altri, dei briccioli che cadono dalla tavola della nobiltà numerosa e discretamente potente».[10]

Eppure, nonostante lo stridente contrasto fra la lentezza di sviluppo della struttura economica interna ed il programma grandioso di attività che il Truchi avrebbe voluto porre in essere, quella del nostro rappresentava una corrente di idee in quel momento assai diffusa nelle sfere dominanti del Regno Sabaudo. L’abate Scaglia di Verrua, ambasciatore a Parigi, consigliò e incoraggiò lo stabilimento d’un servizio governativo di navigazione tra Nizza e Lisbona, studiando gli interessanti e minuti referti commerciali risultanti dalla missione dell’uditore G. A. Carrello in Portogallo. Il Verrua pubblicò suggerimenti del priore Spinelli sullo stesso tema e fornì ampie notizie circa la costituzione e la breve vita della Compagnia di negozio privilegiata per lo sfruttamento monopolistico del mercato lusitano-brasiliano.

L’elenco dei sottoscrittori al capitale iniziale di questa società comprendeva, coi più bei nomi del patriziato di corte, quello di parecchi mercanti, industriali, banchieri della capitale. Del resto lo scritto del Truchi cui ho fatto cenno trasuda di ammirazione per le grandi compagnie monopolistiche. Lo scritto è coincidente cronologicamente e rispondente sul piano concettuale al grande favore di cui questo tipo di impresa era oggetto, proprio allora, in Inghilterra dove, attraverso le alternanze di crisi e di benessere recate dalle guerre e dalle due rivoluzioni, esso si stava solidamente affermando ed estendendo a forme sempre nuove di industria.

Giovan Battista Truchi di Marene ci permette di avvicinarci concettualmente ad uno Stato Italiano di antico regime, che diede origine nel XIX secolo all’unità nazionale. Ciò aiuta a far riflettere sulle incongruenze ma anche sulla capacità, in piccolo, nel nostro Paese, di aprirsi ad istanze profonde di modernità.


Note

1 Giovanni Sforza (Montignoso 1846-ivi 1922), letterato, storico e numismatico. Discendente da un ramo secondario dei Duchi di Milano, si laureò a Pisa e si occupò di storia lunigianese, del Risorgimento, del periodo napoleonico, di Alessandro Manzoni, di Francesco Domenico Guerrazzi, di Papa Niccolò V. Sposò la Lucchese Elisabetta Pierantoni e fu padre tra gli altri di Carlo Sforza, futuro Primo Ministro degli Esteri dell’Italia repubblicana.

2 Giuseppe Prato (Torino 1873-ivi 1928). Economista e storico, professore nell’Istituto Superiore di Commercio di Torino dal 1908 al 1928. Dal 1908 fu redattore capo e poi condirettore della rivista «Riforma sociale». Si occupò soprattutto di storia economica del Piemonte ma partecipò anche alle discussioni sui problemi economici del momento.

3 Miscellanea di Studi Storici in onore di Giovanni Sforza, Torino, Fratelli Bocca editori, 1923.

4 Confronta D. Carutti, Storia di Vittorio Amedeo II, terza edizione, Torino, pagina 457.

5 G. Claretta, Storia del Regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Duca di Savoia, Genova, 1877, tomo II, pagina 76 e seguenti, 384 e seguenti, 467 e passim.

6 1672, 29 dicembre, Discorso del Presidente e Generale delle Finanze Truchi per lo stabilimento del Commercio nel porto di Villafranca.

7 Confronta G. Claretta, Storia del Regno e dei tempi di Carlo Emanuele II, Duca di Savoia, Genova, 1877, tomo II, pagina 349 e seguenti. Come possiamo ben intuire i legami di casa Savoia col Portogallo, luogo d’esilio di suoi Sovrani, sono datati.

8 Confronta C. Contessa, Memorie della Regia Accademia delle Scienze di Torino. S. II, v. 66.

9 Archivio di Stato di Torino, sezione I, cat. mazzo 1°, numero 16, Notizie sovra il Commercio, dalle quali risulta che le Colonne sovra quali si fonda l’incremento e si mantiene la ricchezza e la felicità dei Popoli sono l’agricoltura e il Commercio, s.d.e a.

10 E. Casanova, «Censimento di Torino alla vigilia dell’assedio» in Le campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l’assedio di Torino (1706) (pubblicazione della R. Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche province e la Lombardia), Torino 1909, V, 8°, pagina 143.

(giugno 2012)

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