Storia del capitalismo americano
Un’economia molto vivace con numerose innovazioni che trovava nelle libertà politiche il suo fondamento

In senso stretto il capitalismo è il sistema economico in cui il fattore determinante è dato dal capitale. Spesso tale accezione è stata adoperata da coloro che ritengono tale sistema ingiusto, amorale o destinato al fallimento, anche se in realtà sono numerosi i fattori economici rilevanti che rientrano in tale sistema economico. Dal punto di vista storico si hanno diverse incongruenze, l’abbondanza di capitali esisteva molto prima della nascita del capitalismo, la costruzione di palazzi di altissimo pregio e di chiese imponenti con materiali di grande valore attesta la presenza di grandi capitali anche nelle epoche passate, nell’era capitalista abbiamo invece l’uso di grandi patrimoni destinati non in opere di rappresentanza sostanzialmente prive di utilità, ma utilizzati (interessanti al riguardo gli scritti di Max Weber) per la realizzazione di grandi attività produttive e il funzionamento dell’economia stessa. Il capitalismo ha consentito in un tempo relativamente breve una trasformazione della società notevolmente superiore a quella delle epoche passate. I Paesi Occidentali e Anglosassoni in particolare, sono senza dubbio quelli che hanno dato vita alla nuova economia. Per molti capitalismo è sinonimo di economia americana.

Le colonie britanniche in Nord America sorsero con notevole ritardo rispetto a quelle spagnole del Centro e Sud America, il territorio nordamericano non presentava infatti risorse naturali interessanti e il clima impediva la coltivazione di spezie e di prodotti agricoli di notevole valore commerciale. Gli Stati Uniti nacquero come Paese relativamente povero, ma con grandi risorse umane che consentirono di superare nel corso del tempo il resto del continente. Il territorio che sarebbe stato successivamente chiamato New England, venne colonizzato principalmente dai puritani e altri gruppi protestanti che ritenevano di poter vivere la loro fede con meno interferenze da parte del potere centrale. In questo territorio si ebbero tre fenomeni che favorirono il grande sviluppo successivo: la tendenza all’autogoverno, le minori diseguaglianze economiche e giuridiche, la diffusione dell’istruzione. Nella parte meridionale delle colonie britanniche ebbe un notevole successo la coltivazione del tabacco in grandi piantagioni, mentre in quella settentrionale si viveva sulla coltivazione del mais destinato alla sussistenza. Interessante notare sul lato sociologico che nel 1745 esistessero nel Paese ventidue testate giornalistiche, un dato molto elevato rispetto alla media europea.

Progressivamente si vennero a formare tre realtà economiche. Il Sud più ricco, aristocratico e più vicino al modo di vita tradizionale britannico. Il Nord caratterizzato dai gruppi religiosi rigorosi ma più dinamico in economia e l’Ovest, ovvero la Frontiera, un mondo molto mutevole formato da pionieri che colonizzavano nuove terre.

I primi decenni dopo l’indipendenza non furono facili. Alexander Hamilton, importante esponente di governo sotto Washington, era contrario a Jefferson che voleva una repubblica fortemente decentrata basata sull’agricoltura, mentre il primo riteneva necessario un certo rafforzamento del potere centrale. In particolare Hamilton sosteneva la necessità di una banca nazionale a cui conferire il potere di emettere in via esclusiva moneta e desse sostegno alle nuove industrie nascenti, inoltre era favorevole ad una politica protezionista e ad una fortemente contestata imposta sugli alcolici. Anche la costante espansione a Ovest comportava dei problemi. Le nuove terre colonizzate erano soggette ad assegnazione da parte dello Stato, ciò creò difficoltà con agricoltori abusivi e speculatori che se le contendevano in maniera non sempre legale.

Nonostante tali problemi la vita degli Stati Uniti si rivelò totalmente diversa da quella dell’America Latina dove guerre, conflitti interni continui e dittature militari bloccarono l’attività economica per un lungo periodo dell’Ottocento. Nell’America Settentrionale la crescita economica fu tumultuosa, grazie anche allo spirito americano particolarmente intraprendente. Un’attività particolarmente importante del periodo successivo all’indipendenza fu quella dell’unificazione del vasto territorio con la costruzione di strade e canali navigabili realizzati sia con capitali privati che pubblici, sebbene ci fossero norme che limitavano l’intervento statale nel settore. Gli Stati Uniti acquisirono rapidamente un primato a livello mondiale nella costruzioni di navi a vapore e furono piuttosto precoci anche nella realizzazione delle ferrovie, anche se dovettero affrontare il problema degli attacchi da parte di banditi e indiani alle vie di comunicazione che attraversavano territori isolati. La costruzione e gestione delle ferrovie era affidata a un gran numero di piccole compagnie con capitali privati, ad esse contribuivano i singoli Stati o il Governo Federale con la concessione di terreni per il passaggio delle linee.

Nel 1811 cessò l’attività della prima banca nazionale e per alcuni anni diverse banche stamparono moneta in maniera eccessiva, finché nel 1816 non senza contrasti politici, venne creata una seconda banca con poteri speciali nella quale lo Stato partecipava ad una parte dei capitali, mentre venne introdotta una tariffa doganale per proteggere l’industria nascente dalla concorrenza straniera. Nonostante ciò l’economia degli Stati Uniti rimaneva fragile ed esposta agli acquisti dall’estero, nel 1819 la decisione dell’Inghilterra di comprare il cotone dall’India danneggiò gli Stati Americani del Sud che da alcuni anni (grazie all’introduzione della macchina sgranatrice nel 1793) erano grandi produttori.

Interessante notare quanto scritto da Alexis De Tocqueville sul nuovo Stato, le maggiori libertà rispetto alla vecchia Europa erano notevoli, le minori differenze fra le classi sociali sia dal punto di vista economico che delle abitudini sociali evidenti, la mobilità sociale era molto vivace e, cosa del tutto innovativa rispetto all’Europa, era l’accesso da parte di uomini delle classi popolari verso i massimi incarichi pubblici. Nel 1828 Andrew Jackson, figlio di contadini, divenne Presidente della Repubblica, un evento del tutto inimmaginabile nel nostro continente.

Sotto la Presidenza di Jackson si ebbe una dura contrapposizione fra Stati del Nord e del Sud sulla questione doganale (temporaneamente risolta nel 1833) e si arrivò a una grave crisi finanziaria, nel 1837. Il Presidente contrastò la Banca degli Stati Uniti che esercitava il controllo sulle altre banche, e tale evento portò all’emissione di moneta da parte delle banche minori in maniera disordinata (aggravata dalla non accettazione da parte dello Stato di cartamoneta per l’acquisto dei terreni demaniali); tale situazione di confusione portò al collasso del mercato azionario e al ritiro in massa dei depositi bancari.

Gli Americani si distinsero nel campo degli studi con finalità pratiche o economiche. Benjamin Franklin fu un politico con numerosi interessi scientifici in campi anche molto diversi. Similmente Robert Fulton di poco successivo, ideò oltre alla nave a vapore per la quale è conosciuto, altri macchinari utili per la navigazione e diverse altre attività. Intorno agli anni Trenta dell’Ottocento gli Americani divennero famosi per lo sviluppo delle nuove tecnologie. Diversi inventori americani realizzarono nuove macchine (seminatrici, mietitrici, aratri) per l’agricoltura che contribuirono allo sviluppo delle aziende agricole sulle grandi estensioni di terreno dell’Ovest. Nel 1839 Goodyear ideò la vulcanizzazione della gomma, mentre nel 1844 un altro Americano, Samuel Morse, realizzò il telegrafo che contribuì anch’esso all’affermazione dei nuovi territori. Negli stessi anni (1841) una nuova legge contribuì a dare maggiore stabilità ai territori dell’Ovest, stabilendo un efficace diritto a favore dei coltivatori diretti nel contestato acquisto delle nuove terre.

Il periodo fortunato delle scoperte scientifiche e tecnologiche continuò anche successivamente alla Guerra di Secessione, negli anni Settanta dell’Ottocento venne realizzato il telefono ad opera di Antonio Meucci e dello Scozzese Alexander G. Bell, mentre qualche anno più tardi il geniale Thomas Edison realizzò numerose invenzioni fra le quali la lampadina elettrica e investendo i suoi capitali in tali innovazioni creò lui stesso delle grandi imprese commerciali.

La crescita della popolazione favorita dall’immigrazione fu eccezionale, nel corso dell’Ottocento la popolazione raddoppiava ogni venti-trenta anni, fenomeno a cui contribuirono le migliori condizioni salariali rispetto agli altri Paesi. La massiccia immigrazione di lavoratori creò un certo risentimento da parte degli Americani proprio per il timore che questi accettassero di lavorare per retribuzioni più basse. Sebbene il mercato del lavoro fosse privo di vincoli legislativi, intorno al 1840 si diffuse la giornata lavorativa di dieci ore, quindi meno pesante di quella europea (nel 1860 mediamente 61 ore settimanali nell’industria rispetto alle 72 di quella francese), rispetto al nostro continente i conflitti sociali furono minori e soprattutto non si diffusero i movimenti estremisti che avevano causato estese violenze.

Nel 1784 arrivò a New York il Tedesco John Jacob (Johann Jakob) Astor, quello che è stato considerato il primo capitalista americano e il personaggio che diede l’avvio ad una delle più importanti (e dinamiche) famiglie d’America. Partendo con pochi mezzi realizzò un commercio di pellicce non inferiore a quello canadese viaggiando lui stesso nelle terre selvagge e inaugurando il commercio con la Cina. Successivamente passò ai clipper, le imbarcazioni più veloci di quel periodo, aprendo collegamenti con l’Inghilterra e i porti cinesi ed infine si diede all’acquisto di terreni e immobili a Mannhattan, fu speculatore ma anche mecenate come molti dei suoi discendenti. Nel 1810 il cinquantenne capitalista in accordo con l’ex Presidente Jefferson progettò e finanziò un originale e isolatissimo insediamento di pionieri nell’estremo Nord-Ovest degli Stati Uniti, Astoria, che non ebbe fortuna ma fu molto tipico dello spirito avventuroso dell’epoca.

Nell’Ottocento molti Americani come molti Europei vedevano negli Stati Uniti un Paese molto singolare, sia per il forte sviluppo delle istituzioni democratiche (intorno al 1830 tutti gli Stati avevano introdotto il suffragio universale maschile con un forte anticipo rispetto al resto del mondo), sia per le sue caratteristiche sociali (diffusione dell’istruzione e del benessere), sia per quelle economiche con la sua grande crescita industriale e agricola. Nel 1845 il giornalista John O’ Sullivan in suo articolo coniò l’espressione «Destino Manifesto» che ebbe molto successo: «È per diritto del nostro destino manifesto di diffonderci e possedere l’intero continente, che la Provvidenza ci ha dato per lo sviluppo di un grande esperimento di libertà e di autogoverno federato, che ci è stato affidato». L’idea di libertà si associava a quella del rispetto per le questioni religiose, una visione che fu molto caratteristica del mondo americano.

La Guerra di Secessione non ebbe grandi conseguenze economiche nel Nord, ma fu devastante al Sud. L’abolizione non graduale della schiavitù distrusse l’economia agricola di quel territorio e creò problemi sociali (anche fra i negri liberati) notevoli. Per finanziare la guerra Lincoln decise la stampa di banconote non convertibili in oro (i «greenbacks») che crearono gravi problemi a lungo nel periodo successivo. Le forze politiche si divisero, alcune, soprattutto quelle legate ai movimenti dei contadini, volevano il loro mantenimento, mentre quelle favorevoli alla ortodossia monetaria erano contrarie o volevano almeno la possibilità di una conversione in moneta metallica. Connessi a tale situazione si ebbero diversi scandali politici e due crisi borsistiche nel 1869 e nel 1873, mentre altri gruppi chiedevano una maggiore emissione di monete d’argento ritenute preferibili per le classi popolari rispetto a quelle in oro. Sempre nel 1873 la guerra fra le numerose compagnie ferroviarie divenne pesante e provocò la rovina di molte di esse nonostante i successi precedenti del settore, comunque si realizzò alla fine una maggiore concentrazione societaria e un maggiore ordine nel settore, almeno fino al 1893 quando si ebbe una nuova ondata di fallimenti di banche e società ferroviarie.

Il periodo successivo alla Guerra di Secessione è considerato il periodo d’oro del grande capitalismo, con le sue dure lotte interne e la creazione di società commerciali («trusts») di dimensioni incredibili. I grandi del capitalismo americano furono quasi tutti uomini provenienti dal nulla, partiti con modesti risparmi, dei «self made men» in piena regola. La legislazione nel campo economico era inadeguata a regolare grandi capitali e situazioni di quasi monopolio, e fino all’introduzione dello Interstate Commerce Act (1887) e dello Sherman Antirust Act (1890) gli atti di concorrenza sleale erano comuni. Il primo di questi personaggi fu Cornelius Vanderbilt (detto «il commodoro») che con pochi studi alle spalle e pochi soldi all’età di sedici anni (1810) iniziò un trasporto su barca a New York a prezzi molto concorrenziali rispetto ai grandi trasportatori dell’epoca. Gli acquisti di navi furono continui e venti anni dopo era il maggiore armatore americano, nel 1851 si accordò con il Governo del Nicaragua per realizzare un nuovo e razionale collegamento fra i due Oceani che bagnavano l’America, ma dieci anni dopo iniziò a disinvestire dai trasporti marittimi per dedicarsi alle ferrovie (sempre con tariffe basse) con alterne fortune, ottenne grandi successi ma nell’acquisto del pacchetto azionario di controllo di una compagnia ferroviaria rivale fu vittima di una sostanziale frode, la compagnia in questione aumentava il capitale sociale in maniera continua e occulta per evitare l’acquisizione. Quando morì, era l’uomo più ricco d’America nonostante alcune donazioni in opere pubbliche. La sua storia è abbastanza simile a quella di altri due grandi del capitalismo dell’epoca, John D. Rockefeller e Andrew Carnegie che arrivarono ad essere monopolisti (o quasi) di alcuni beni strategici. Il primo partendo da un’attività artigianale arrivò a controllare gran parte della raffinazione di petrolio americano imponendo alle società concorrenti l’assorbimento o una pesante guerra commerciale, mentre il secondo sia pur non avendo un elevato livello di istruzione intuì le grandi possibilità di un nuovo materiale, l’acciaio, di cui divenne il massimo produttore con impianti di eccezionali dimensioni. Entrambi furono filantropi, Carnegie in particolare si ritirò dagli affari abbastanza presto e si dedicò ad iniziative culturali, lui stesso scrisse nel 1889 The Gospel of the Wealth (Il Vangelo della Ricchezza) dove affermava la necessità della circolazione del denaro nella società e che il capitalista dovesse vivere «in modo modesto, provvedendo con equilibrio ai bisogni di chi dipende da lui, e considerando il surplus come dei fondi che ha il dovere di amministrare a beneficio della comunità». Un altro grande della finanza, John P. Morgan, diversamente dagli altri nato da una famiglia ricca, cercò di mettere ordine nel mondo finanziario favorendo grandi fusioni fra società in contrasto fra loro con un maggiore rispetto per la legge. Nel 1907 intervenne con energia per salvare le banche da una gravissima crisi di borsa. Il suo nome è sicuramente legato al lancio della compagnia di Edison che rivoluzionò il mondo di allora con la distribuzione di elettricità nelle grandi città e del successivo contrasto con Westinghouse che in società con un altro scienziato, Nikola Tesla, produceva un tipo diverso di energia elettrica, quella alternata. Interessante notare che il contrasto fu solo sul piano pubblicitario e non si ebbero atti di concorrenza sleale tipici del passato.

L’ultimo (in ordine di tempo) dei cosiddetti cinque «Big» del capitalismo americano, che venne considerato da molti come il più illuminato, fu Henry Ford. Figlio di agricoltori, iniziò la sua attività assemblando pezzi di automobili nel magazzino del padre. Intuì la necessità di una forte standardizzazione della produzione delle automobili e di prezzi bassi accessibili a tutti. Fu anche innovatore del modo di produzione e diede vita alle catene di montaggio (il cosiddetto fordismo) suddividendo in maniera rigida i lavori degli operai. Tale sistema di lavoro sebbene rendesse il lavoro dell’operaio più monotono e ripetitivo, era ritenuto tuttavia più sicuro ed evitava il gran numero di incidenti che si avevano nelle fabbriche di allora. Nel 1914, senza la pressione dei sindacati, Ford aumentò notevolmente la paga degli operai, anticipando il grande economista John Keynes, comprese che maggiori salari (presto gli altri industriali lo avrebbero seguito) significavano un aumento dei consumi con un ritorno economico per gli stessi imprenditori. La politica degli alti salari diede frutti notevolissimi, le famiglie degli operai e dei lavoratori in genere disponevano di beni di gran lunga superiori a quelli delle medesime categorie di qualsiasi altra Nazione, accrescendo la prosperità generale.

Gli Stati Uniti non si impegnarono molto nella politica internazionale e mantennero le spese militari molto più basse degli altri Paesi, alla politica di grandezza preferirono sempre il business. Sebbene si fosse spesso parlato di un capitalismo «duro» americano, i dati statistici esprimono con chiarezza la diffusione del benessere, la situazione dei salari reali notevolmente superiore a quella europea e la loro crescita nel corso dell’Ottocento (con l’esclusione di alcuni anni di depressione) costante e notevole, si calcola infatti che siano aumentati del 50% fra il 1860 e il 1890 e ad un ritmo ancora superiore negli anni successivi. Il sindacalismo americano non fu invece sempre all’altezza, nel 1869 si ebbe una confraternita segreta conosciuta come «Knights of Labor» e alcuni anni dopo i «Molly Maguires» specializzati in atti di sabotaggio. Nel 1886 si ebbe la creazione di un sindacato serio e responsabile, la «American Federation of Labor», ma a fianco di esso operarono gruppi violenti e anarchici che distruggevano le attrezzature aziendali o ricorrevano alle armi (sciopero dei ferrovieri di Pittsburgh, strage di Haymarket Square, occupazione della Homestead), azioni malviste dall’opinione pubblica e che non servirono a creare migliori condizioni di lavoro. Per alcuni i capitalisti erano una minaccia alla democrazia, e nel 1896 tale questione divenne fondamentale insieme a quella del sostegno governativo dell’argento durante la campagna elettorale che contrappose democratici e populisti da una parte, sostenitori del demagogo Bryan, contro il repubblicano McKinley sostenitore delle tariffe doganali protezionistiche e considerato amico dell’alta finanza. Il repubblicano ebbe la meglio ma dopo il suo assassinio venne successivamente sostituito da Theodore Roosevelt più vicino ai lavoratori, in ogni caso il Paese aveva realizzato grandi progressi e raggiunto il primato economico mondiale.

(ottobre 2015)

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