Geronimo
Spina nel fianco dei coloni europei

Nel Nord America, fino al XIX secolo, erano diverse le tribù di indigeni con regime matriarcale, che da secoli vivevano come cacciatori di bisonti, cervi, coyote e conigli e come raccoglitori di ciò che la natura elargiva loro. Erano nomadi che si riparavano in capanne a cupola, dette «wickiups», formate da un telaio di pali di legno sul quale si stendevano stoffa, cortecce di legno, pelle di animali, vegetali o altro ancora, che le loro donne riuscivano ad approntare in un paio di ore; ma tanti usavano i «tepee», che erano capanne a forma conica, alte fino a 6 metri, la cui ossatura era costituita da pali legati quasi in sommità e divisi in cerchio, sui quali si ponevano peli di bisonte, cortecce o stuoie. I «tepee» sicuramente erano i più pratici e migliori.

Spesso litigavano con i vicini, poi facevano pace più o meno duratura. Nessun estraneo rompeva il ritmo della loro esistenza, finché genti provenienti dall’altra parte del mondo – e che nessuno aveva invitato – cominciarono a bistrattarle, sfrattandole dai loro territori e mettendole sempre più nell’angolo. Da notare, che pure le donne avevano imparato a combattere per difendere i loro diritti.

Fra queste tribù era quella dei Chiricahua Apache, che viveva e prosperava da tanto tempo nelle terre dell’Arizona, del Nuovo Messico, di Sonora e Chihuahua. Gli Apache erano stanziati nei Paesi Sud-Occidentali del Nord America e spesso si univano ai Comanches, valenti guerrieri pellerossa a cavallo, che vivevano nel Texas Orientale e che avevano come avversari gli Spagnoli, colonizzatori del Messico e dintorni.

Un suo capo fu Geronimo (suo vero nome: Goyaate), nato il 16 giugno 1829 a Arizpe, presso il fiume Gila nello Stato di Sonora, allora terreno messicano. Chiaramente, i soprusi che provenivano dai nuovi arrivati non erano molto graditi, tanto da essere malamente sopportati. Egli formò uno dei pochi gruppi di nativi americani decisi a opporsi all’egemonia dei Messicani prima e degli Statunitensi poi, e ingaggiò una dura lotta nel Lontano Ovest («Far West»). Questo sopruso fu combattuto aspramente, con attachi continui, finché si giunse al massacro di Kasyeh, compiuto dai Messicani nel 1851, con l’uccisione della famiglia di Geronimo (madre, moglie e tre figli). Questo fatto fu una ragione in più per incattivirlo e, come c’era da aspettarselo, furono molte le incursioni compiute contro Messicani e, già che c’erano, anche contro Americani, per ritorsione e vendetta.

Intanto, era scoppiata una guerra fra Americani e Messicani, che finì in malo modo per questi ultimi nel 1854, tanto che, in quell’occasione, gli Americani si impadronirono di moltissimi chilometri quadrati che appartenevano alla tribù dei Chiricahua, occupandoli con contingenti militari e agricoltori. Questa nuova situazione non poteva essere accettata dagli indigeni ed era divenuto una normalità – se così si può definirla – il verificarsi di sanguinosi scontri.

Durante una scorreria, gli Indiani rapirono un ragazzo (affare Bascom), cui seguirono tentativi di accordi mal condotti e che sfociarono in azioni belliche attuate da entrambi i gruppi contendenti. E nel 1862, il capo Apache Cochise, per ritorsione proprio per l’affare Bascom, organizzò un agguato a un distaccamento americano, fatto che diede l’avvio a una guerra vera e propria che finì, come prevedibile, con la vittoria del più forte.

Nel 1874, il Governo degli Stati Uniti confinò la tribù in una riserva dell’Arizona che offriva scarse risorse, talmente povera da mettere la tribù in seria difficoltà per la sopravvivenza. Era una situazione critica alla quale si associava il rifiuto a essere confinati dove faceva comodo all’invasore e molti non accettarono tale miserando stato di segregazione. Infatti, questi con a capo Geronimo, fuggirono dalla riserva. D’altra parte, la reazione sorgeva spontaneamente, chiedendosi come si potesse accettare che gente che veniva da fuori, da un altro mondo, si arrogasse il diritto di occupare le terre che i loro avi avevano calpestato e sulle quali erano cresciuti e avevano vissuto. D’accordo, ma non troppo, da che mondo è mondo, il più forte ha sempre messo sotto i piedi il più debole, applicando la sua legge, però, se a quest’ultimo è concessa anche una sola minima possibilità, non deve sorprendere se reagisca in malo modo, vale a dire rendendo pan per focaccia.

E da allora, per molti anni, fu una successione quasi senza soluzione di continuità di combattimenti e di incursioni contro i Messicani e le truppe federali, purtroppo spesso abbondantemente sanguinose. I Chiricaua erano convinti che Geronimo fosse qualcosa di più di un semplice essere umano, vale a dire uno stregone, e che avesse capacità fuori della norma, quali la previsione del futuro e, addirittura, quella di fermare le frecce; pertanto, sicuramente – pensavano loro – un qualche dio lo proteggeva e lo ispirava. Comunque, Geronimo era coraggioso e furbo, tanto da riuscire a sfuggire alla caccia fattagli per tanti anni. Ma questa durata nel tempo ha una semplice giustificazione: Geronimo giocava in casa, nel senso che conosceva bene il territorio in cui si muoveva, per cui poteva organizzare insidie contro il nemico, mantenendo aperte le vie di fuga, mentre gli avversari erano all’oscuro di quel tanto. Tutto questo comparve in tantissime pagine di giornali, dandogli in tal modo una fama immortale.

Ma non sempre le cose andarono bene e venne il momento in cui Geronimo e i suoi seguaci, alla fine, furono costretti a rientrare nella riserva.

Non c’è da meravigliarsi se essi non furono contenti per essere tenuti pressoché in gabbia, tanto che nella primavera del 1885 in più di 150 scapparono di nuovo, rifugiandosi nel Messico, inseguiti da non meno di 5.000 soldati statunitensi e 3.000 messicani. E la pressione esercitata sugli Apache fu talmente intensa che, anche perché si trovarono in netta minoranza, nel 1886 questi furono costretti ad arrendersi al Generale George Crook.

Geronimo, che non si dava pace, riuscì a scappare e imperterrito, seguito da compagni che la pensavano alla stessa maniera, continuò a fare le sue incursioni «toccata e fuga». Ma tutto ha fine e ciò fu anche per lui, che si trovò inseguito dal tenente Charles B. Gatewood, che il 19 ottobre 1886 riuscì a bloccarlo e a farlo arrendere, quando si trovava nei dintorni del Fort Bowie, situato al confine fra Arizona e Nuovo Messico.

Questo fu l’ultimo conflitto che coinvolse i nativi e gli Statunitensi nei territori Sud-Occidentali dell’America del Nord. D’altra parte, quali possibilità restavano di sconfiggere gli invasori armati con armi da fuoco contro i loro archi e le loro frecce, e in continua crescita numerica? Fu la fine del Geronimo guerriero e difensore dei diritti dei suoi familiari e degli Apache, dopo trent’anni di lotte contro quell’usurpatore, che non gli fu possibile ricacciare a casa sua, magari al di là dell’oceano.

Il tenente lo consegnò al Generale Nelson Miles a Skeleton Canyon nell’Arizona. Da lì fu portato con i suoi compagni prima a Fort Pickens in Florida, poi in Alabama e infine, nel 1894, fu sistemato nella riserva Comanche nelle vicinanze di Fort Sill in Oklahoma.

Qui, abbandonata ogni velleità, depose definitivamente le armi e si rassegnò alla vita di campagna, divenendo un abile agricoltore. Inoltre, si diede da fare, vendendo sue foto, partecipando a fiere, dove vendeva i suoi cappelli: suoi si fa per dire, perché erano acquistati e rivenduti con continuità.

Si fece cristiano e, quando fu organizzata la parata per il Presidente Theodore Roosvelt nel 1905, vi partecipò. Fu intervistato da parecchi giornalisti e le notizie che lo riguardavano accrebbero sempre di più la sua fama, tanto da essere ritenuto il paladino della resistenza dei pellerossa contro gli invasori.

Purtroppo, gli capitò una disgrazia che gli fu fatale: cadde da cavallo e fu ritrovato dopo parecchio tempo mentre era all’addiaccio e la polmonite da cui fu colpito non gli lasciò scampo. Sul letto di morte, confessò al nipote ciò che lo aveva amareggiato negli ultimi anni, dicendogli: «Non avrei mai dovuto arrendermi, avrei dovuto combattere fino a quando non fossi l’ultimo uomo vivo!»

Dettò la storia della sua vita, che nel 1906 fu pubblicata con il titolo Geronimo’s Story of his Life. Nel 1909, il 17 febbraio, si spense serenamente a Fort Sill, dove ora riposa nel «Beef Creek Apache Cemetery» («Cimitero Apache di Beef Creek»).

(agosto 2023)

Tag: Mario Zaniboni, Geronimo, wickiups, tepee, Chiricahua Apache, Comanches, massacro di Kasyeh, affare Bascom, Cochise, George Crook, Charles B. Gatewood, Fort Bowie, Nelson Miles, Skeleton Canyon, Fort Pickens, Fort Sill, Geronimo’s Story of his Life, Beef Creek Apache Cemetery.