Melassa a Boston
Errore umano o superficialità?

La melassa è un sottoprodotto della produzione dello zucchero. Si presenta come un liquido di colore scuro, una specie di sciroppo dolce e zuccherino che, pur essendo ricco in saccarosio, ha il difetto – se così è concesso di dire – di non cristallizzare, malgrado tutti i tentativi fatti in tal senso da chimici e alimentaristi. Pertanto, è impiegato come materia prima nella preparazione di un’acquavite ottenuta per distillazione della melassa della canna da zucchero o del suo succo, alcolici in genere, mangimi per gli allevamenti di bestiame.

Ma ciò di cui si intende parlare riguarda un fatto, purtroppo gravissimo, che capitò il 15 gennaio 1919 nella città di Boston, che è la maggiore del Massachusetts, oltreché centro economico e culturale di notevole rilevanza. Il guaio fu provocato dall’esplosione di un serbatoio alto 15 metri e del diametro di 27, per una capacità volumetrica di più di nove milioni di litri.

Ora ci si potrebbe chiedere che cosa ci facesse un recipiente tale nella città di Boston. Il tutto si doveva al fatto che là era molto attiva la produzione di rum, vodka e bevande alcoliche in genere, per la preparazione dei quali sono necessari sia lo zucchero sia la melassa; quest’ultima era, allora, il dolcificante maggiormente utilizzato ed era importante anche perché serviva per la produzione di esplosivi.

Un grosso quantitativo di melassa era giunto in nave a Boston pochi giorni prima del disastro e, per ridurne la viscosità, era stato riscaldato; in attesa di essere trasferito all’impianto della Purity Distilling Company, situato a Cambridge, tra Willow Street ed Evereteze Way, era stato provvisoriamente stivato in quel serbatoio costruito nel 1915, in prossimità di Keany Square, al numero civico 529 di Commercial Street.

Il 15 gennaio 1919, era una giornata relativamente calda per la stagione (circa 4° C) e il carico di melassa era ancora caldo. Quando fu insilato, andò a scontrarsi e mescolarsi con la melassa in giacenza, fredda, per cui, a causa delle differenze di temperatura, ci fu una fermentazione che attivò un’enorme formazione di gas, la cui pressione iniziò ad agire sulla struttura metallica. Uno dei dirigenti del serbatoio, Isaac Gonzales, denunciò la situazione che, secondo lui, rappresentava un pericolo incombente, giacché si sentivano scricchiolii sospetti e rumori sordi, che denunciavano la sua sofferenza: purtroppo, nessuno diede il giusto peso alla sua segnalazione, tanto che, alle ore 12:41, la pressione era giunta al punto da non poter più essere retta dalle pareti metalliche, le giunture fra i pannelli saltarono e il serbatoio collassò. Nove milioni di litri di un liquido bruno, denso e appiccicoso, liberati di colpo, esplosero con un boato verso l’alto per poi ricadere e formare un’onda alta fra i 3 e i 5 metri, larga 50, che si lanciò in ogni direzione, alla velocità di circa 56 chilometri orari. Naturalmente, l’enorme massa, che si trasformò in uno tsunami vero e proprio, come un immane rullo compressore, travolse, distrusse e inglobò tutto quanto incontrava nella sua pazza corsa: case, capannoni, automobili, adulti, bambini, animali, la stazione dei pompieri della Atlantic Pacific, la stazione Atlantic Avenue della ferrovia sopraelevata di Boston furono le sue vittime; un treno fu deragliato. E tutto ciò per diverse centinaia di metri, soprattutto lungo la più importante via del North End della città, la Commercial Street, finché l’onda trovò davanti a sé il muro di pietra bianca di Copp’s Hill, contro il quale si schiantò; furono invasi negozi e abitazioni, furono riempite cantine, ogni apertura costituiva una via da percorrere e da saturare. Anche il lungomare di Boston risentì degli effetti dell’onda di melassa.

Ai primi soccorritori si presentò una scena apocalittica: per un’area di circa 350 metri quadrati, uno strato di melassa di quasi un metro di spessore sembrava un lago puzzolente di colore bruno, in cui si notavano persone e cavalli che, in parte intrappolati dalla vischiosità dello sciroppo, tentavano faticosamente di liberarsi. Le vittime accertate furono 21, mentre i feriti 150. Il cadavere di un Italiano, coinvolto nella tragedia, fu trovato addirittura dopo dieci anni.

Essendo in pieno gennaio, la temperatura abbassò bruscamente il calore della melassa che, da uno stato semifluido, passò a quello solido, diventando un feretro contenente i corpi di coloro che non riuscirono a scampare alla furia dell’onda. L’odore dolciastro, che si sprigionava dalla melassa, si diffuse nell’aria, stazionò e incombette sulla città per anni; ancora oggi, nasi sopraffini ritengono di sentirlo tuttora impregnare l’aria. I lavori di sgombero delle macerie e di pulizia furono complessi tanto da tenere occupate maestranze, vigili, volontari con l’uso di idranti, per 87.000 ore di lavoro, distribuite in sei mesi.

119 abitanti della zona, coinvolti nella tragedia, agirono con un’azione comune contro la United States Industrial Alcohol Company (USIA), che dal 1917 era proprietaria dell’area destinata alla distillazione. Questa tentò, goffamente, di difendersi incolpando di aver fatto saltare in aria il serbatoio un presunto gruppo di anarchici, che agiva contro la produzione dell’alcol che serviva per preparare munizioni. Dopo tre anni di udienze, tuttavia, a seguito del rapporto del perito del tribunale in cui erano chiarite le sue responsabilità, la compagnia fu condannata a sborsare 600.000 dollari (pari a 6,6 milioni di dollari del 2005) per chiudere la partita.

Stephen Puleo, autore dell’opera Dark Tide: The Great Boston Molasses flood of 1919 (Dark Tide: la grande alluvione di melassa di Boston del 1919), era della convinzione che le chiacchiere della gente, secondo le quali si sentivano scricchiolii e rumori nella struttura metallica costitutiva del serbatoio quando era pieno, non erano invenzioni dettate dalla paura, ma assolute verità. E quel che fa specie, è che i bambini andassero con secchi a raccogliere la melassa che usciva dalle fessure del contenitore. Anzi, a questo proposito, la compagnia, avendo avuto reclami proprio perché il serbatoio perdeva, per mascherare la criticità della struttura, invece di ripararla si era premurata di dipingerla. L’ingegnere Ronald Mayville era convinto che l’acciaio utilizzato per gli elementi costitutivi del serbatoio non fosse adeguato, così come il loro spessore; cioè il calcolo era stato viziato da uno scarso margine di sicurezza; del resto, Puleo era dell’avviso che la costruzione sia stata progettata da un supervisore esperto di finanza e non certo da un esperto di ingegneria.

Comunque, la lezione è servita, e nessun serbatoio ha sostituito quello andato a pezzi; l’area, infatti, è stata adibita a un campo comunale di baseball.

A ricordare il triste evento, è stata posta una targa all’ingresso del Parco Popuolo, che si trova in una zona ricreativa di Boston detta Langone Park, e che ha sostituito la zona industriale della Purity Distilling Company. Sulla stessa, definita Boston Molasses Flood, si legge: «Il 15 gennaio 1919, un serbatoio di melassa, al numero 529 di Commercial Street, esplose per l’eccesso di pressione interna, uccidendo 21 persone. Si formò un’onda di 40 piedi di melassa che piegò i binari della ferrovia sopraelevata, distrusse edifici e inondò il quartiere. I difetti strutturali del serbatoio combinati con una temperatura ambientale insolitamente elevata contribuirono al disastro».

A ricordare il triste avvenimento, le guide turistiche di Boston lo ricordano definendolo «The Boston Molassacre».

(ottobre 2022)

Tag: Mario Zaniboni, melassa a Boston, melassa, alcolici, 15 gennaio 1919, Boston, Massachusetts, Purity Distilling Company, Commercial Street, Isaac Gonzales, Atlantic Pacific, Atlantic Avenue, ferrovia sopraelevata di Boston, Copp’s Hill, United States Industrial Alcohol Company, USIA, Stephen Puleo, Dark Tide The Great Boston Molasses flood of 1919, Dark Tide la grande alluvione di melassa di Boston del 1919, Ronald Mayville, Parco Popuolo, Langone Park, Boston Molasses Flood, The Boston Molassacre.