Le origini di una pianta e di una tradizione
L'olivo, la pianta che ha accompagnato la civiltà dei popoli mediterranei

L’olivo è stato forse il primo albero «addomesticato» dall’uomo: la sua storia e quella delle civiltà affacciate sul Mediterraneo si intrecciano da almeno settemila anni, tanto che costituisce una delle colture più importanti e caratteristiche della regione mediterranea. Le ricerche condotte a partire dagli anni Cinquanta hanno infatti rivelato i vantaggi offerti dall’alimentazione tradizionale mediterranea rispetto alla dieta praticata nei Paesi dell’Europa Settentrionale e del Nord America: il consumo di pasta, pane, frutta, verdura, legumi, pesci e carni bianche, e l’uso dell’olio d’oliva come condimento aiutano ad evitare le «malattie della civilizzazione» come l’infarto, l’arteriosclerosi, l’appendicite, la colecistite ed alcuni tipi di tumore. Ma se le olive e l’olio d’oliva rappresentano oggi quasi esclusivamente cibo e condimento, nelle epoche passate l’olivo garantiva, oltre a necessità vitali, molte raffinatezze e comodità.

Uliveto a Porto Leone

Uliveto a Porto Leone (Grecia); fotografia di Simone Valtorta, 2011

Il Mediterraneo inizia e finisce con l’olivo ed i loro confini coincidono dalle coste di Siria e Palestina fino all’Oceano Atlantico. Antiche raffigurazioni, relitti sottomarini e descrizioni dei protagonisti raccontano un viaggio lungo il quale l’olivo vede nascere alcune tra le più grandi città del mondo antico: Tiro in Fenicia, Atene in Grecia, Cartagine in Africa e Cadice in Spagna. L’olivo è divenuto il simbolo mediterraneo per eccellenza: le sue fronde simboleggiano la pace, l’onore e la vittoria, proteggono i supplici e gli ambasciatori. È un albero benedetto e può trasmettere benedizioni: il suo olio misto a balsamo unge i Re, i Profeti, i Sacerdoti, i Vescovi, e li consacra; unge i credenti, infonde loro vigore, speranza e salvezza, scandendo la nascita, la morte ed i momenti più importanti della loro vita. L’olio d’oliva è l’offerta prediletta da Dio ed arde sul Suo altare: la fiamma alimentata da olio d’oliva è simbolo della fede dell’uomo e della presenza di Dio. L’olivo è veicolo di attributi sacri, segno divino, offerta consacrata e fonte di ispirazione artistica: durante molti millenni ha presenziato ai riti ed alle manifestazioni spirituali delle civiltà mediterranee; nell’Oriente antico, nelle religioni del mondo classico, nella fede cristiana, ebraica e musulmana, gli olivi e l’olio d’oliva sono partecipi della realtà umana e del mondo divino, offrendo alla fede dell’uomo la materia ed i simboli più sacri. Molti oggetti descritti nei miti e nelle leggende delle civiltà mediterranee sono fabbricati in legno d’olivo: la clava di Ercole, il letto di Ulisse, il palo con cui Ulisse accecò Polifemo, la mazza del ciclope, l’ascia dell’eroe Pisandro, il simulacro della dea Atena nel Partenone, le statue degli angeli nel Tempio di Salomone a Gerusalemme…

La storia dell’olivo affonda le radici in epoche incredibilmente antiche: già dodici milioni di anni fa, molto prima della comparsa dell’uomo sulla Terra, sulle coste del Mediterraneo esistono molte varietà di alberi del genere «olea». La loro distribuzione è determinata dalla latitudine, dagli ambienti e soprattutto dal clima.

Settemila anni fa, dopo la creazione dei primi villaggi di agricoltori, l’uomo inizia a selezionare le piante di olivo, a potarle ed innestarle. La propagazione dell’olivo è un’importante conquista economica e culturale: richiede infatti sofisticate nozioni botaniche e una struttura sociale organizzata e solida, poiché ci vogliono molti anni prima di raccoglierne i frutti. Sulle coste dell’attuale Israele sono state rinvenute tracce dell’olio più antico che si conosca, estratto oltre seimila anni fa dai frutti di olivi selvatici.

Cinquemila anni fa, quando gli uomini inventano la scrittura, l’olio di oliva è già un prodotto prezioso e i mercanti attraversano il deserto ed il mare per portarlo alle città della Mesopotamia e dell’Egitto. L’olio viene trasportato nelle anfore, robusti recipienti in ceramica forniti di una stretta imboccatura che può essere sigillata con tappi di legno o cera, oppure è contenuto in preziosissimi vasetti. Navigatori orientali prima e poi Fenici, Micenei e Greci commerciano l’olio d’oliva e gli unguenti profumati. Grazie a questi contatti, le antiche popolazioni delle regioni costiere che oggi chiamiamo Grecia, Sicilia, Sardegna, Tunisia, Italia, Francia e Penisola Iberica scoprono le straordinarie virtù dell’olio d’oliva e imparano le tecniche di coltivazione dell’olivo.

L’olivo inizia da Tiro di Fenicia il proprio viaggio che si svolge sotto la protezione di Melqart, dio fenicio della vegetazione, della navigazione e delle spedizioni coloniali, più tardi identificato con Eracle/Ercole. A Tiro, nel tempio di Melqart, «c’è un luogo sacro all’interno di un recinto in cui cresce un olivo dalle fronde luminose e da lui nasce un fuoco che arde con grandi fiamme fra le sue fronde» (Achille Tazio). A bordo delle navi dei Fenici di Tiro, l’olivo oltrepassa lo stretto di Gibilterra e a Cadice un olivo di smeraldi, posto in un altro tempio di Melqart, segna la fine del viaggio e del Mare Mediterraneo. A Ebla, in Siria, sono documentati veri e propri oliveti e una forte produzione d’olio. Fra gli Ittiti e in Egitto l’olio di oliva viene adoperato per cerimonie di consacrazione e rituali che ricordano le unzioni dell’Arca dell’Alleanza e dei Re d’Israele narrati nella Bibbia; l’Egitto deve importare enormi quantità di unguenti necessari per l’imbalsamazione dei defunti ed il culto. Preziosi vasi in pietra ed in pasta di vetro garantiscono la conservazione di questi oli nel corso dei lunghi viaggi da un capo all’altro del Mediterraneo.

L’olivo raggiunge la Grecia e già cinquemila anni fa gli abitanti di Creta e del Peloponneso si nutrono di cibi cotti in olio d’oliva. Quattromila anni fa Minosse di Creta e poi i Re micenei sono grandi produttori di olio, che commerciano in Italia Meridionale, Sicilia e Sardegna. Nell’Atene classica l’olivo gode di una considerazione eccezionale: l’albero piantato sull’Acropoli dalla stessa dea Atena è il simbolo della città, ne incarna la sopravvivenza e la prosperità. Le leggi ateniesi proteggono gli olivi sacri (chi li estirpa può essere addirittura messo a morte!) e ne regolano la coltura: l’olio che producono ed una corona delle loro fronde intrecciate premiano i cittadini vincitori dei giochi panatenaici che si svolgono in onore della dea Atena. L’olio è usato soprattutto per la cura e l’igiene del corpo, come dimostrano moltissimi vasi che raffigurano scene di gineceo o di ginnasio. In misura minore l’olio è utilizzato per l’alimentazione, come lubrificante o per l’illuminazione (un litro d’olio può alimentare un lume per almeno duecento ore); i lumi più antichi alimentati con olio d’oliva risalgono a quattromila anni avanti Cristo: ogni lume è costituito dal serbatoio, contenente il liquido combustibile, e da uno stoppino a cui appiccare il fuoco.

L’olivo fa una prima timida comparsa in Italia tremilacinquecento anni fa, e si diffonde ad opera dei mercanti fenici, cartaginesi e dei coloni greci soprattutto a partire dal VII secolo avanti Cristo. Nelle città italiche della Magna Grecia l’olio d’oliva è necessario per l’alimentazione, la cosmesi, i riti, l’illuminazione e la salute del corpo. Etruschi e Italici acquistando l’olio dai mercanti greci e fenici iniziano ad apprendere le tecniche di coltivazione dell’olivo e di estrazione olearia: in breve tempo le popolazioni di molte regioni italiane impiantano oliveti e producono olio d’oliva che dà origine ad un commercio interno sempre crescente. Per vari secoli si importano dalla Grecia soprattutto oli di pregio, cosmetici e profumi esotici, prodotti nei centri più rinomati del Mediterraneo Orientale. Autori latini come Catone e Columella scrivono volumi per spiegare come si devono coltivare gli olivi e come si produce l’olio migliore. A Roma, capitale dell’Impero, ogni anno giungono 321.000 anfore contenenti 224.000 quintali di olio.

L’olio d’oliva e l’olivo arrivano sulla costa mediterranea ed atlantica della Penisola Iberica nell’VIII secolo avanti Cristo ad opera dei mercanti fenici. I Fenici di Tiro fondano Cadice vicino alle Colonne d’Ercole, e la città fa da tramite fra il mondo mediterraneo e quello delle genti locali. Ceramiche, avori, gioielli, profumi e tutte le merci di lusso provenienti dall’Oriente servono ad acquistare i metalli di cui la Spagna è ricca: rame, argento, oro. Durante i primi secoli dell’Impero Romano, la Spagna diviene la principale provincia olearia mediterranea.

Duemila anni fa, all’inizio dell’Era Cristiana, l’olivo è ormai una delle principali colture agricole del Mediterraneo. L’olio è indispensabile in molti aspetti della vita quotidiana e milioni di anfore olearie vengono trasportate dal Mediterraneo alle più remote province dell’Impero Romano. Frammenti di anfore olearie usate per il trasporto dell’olio proveniente dalla Penisola Iberica e dall’Africa, a Roma hanno formato una collina artificiale chiamata «Monte Testaccio». È un monumento unico al mondo: situato nel lembo più meridionale della pianura compresa fra il fiume Tevere e il colle Aventino, il Monte Testaccio è alto quarantanove metri, con una circonferenza di un chilometro ed una superficie di ventiduemila metri quadrati. Il monte è il risultato di un accumulo metodico e protratto nel tempo di anfore contenenti olio che, scaricate nel vicino porto fluviale, dopo lo svuotamento venivano sistematicamente spezzate e ridotte in frammenti prima di essere trasportate e depositate in un’area adibita a discarica a ridosso dei magazzini. Diversamente dalle anfore destinate al trasporto di prodotti quali vino, miele ed olive, le anfore olearie infatti non erano riutilizzabili a causa della facile e rapida alterazione dei residui d’olio. Il problema dello smaltimento rapido ed economico di tali voluminosi «vuoti a perdere» fu risolto con questa discarica, ove dall’epoca augustea i frammenti vennero accatastati con la massima economia di spazio e con la sola deposizione di calce che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato per i cocci anche un ottimo elemento di coesione.

Nell’antichità è più costoso trasportare un carico su carro per centocinquanta chilometri che farlo viaggiare per nave da un capo all’altro del Mediterraneo: per questo i commerci oleari si svolgono soprattutto via mare o lungo i fiumi navigabili, come viene ben documentato al «Museo Navale Romano» di Albenga. Il commercio oleario è controllato dallo Stato, che interviene quando gli armatori non riescono a soddisfare le esigenze del mercato: l’Annona imperiale provvede direttamente ai rifornimenti per la popolazione di Roma e per le truppe acquartierate lungo i confini settentrionali dell’Impero; a questo scopo vengono ammassate notevoli quantità di generi alimentari e buona parte della produzione di olio d’oliva.

Ma nel V secolo l’olivo viene travolto dalla crisi politica, economica e militare dell’Impero Romano d’Occidente. Alberi di olivo sono coltivati solo attorno ai monasteri o ai centri urbani più importanti. Dopo la fine del mondo antico, l’olio di oliva è di nuovo raro e prezioso in Europa ed è riservato ai riti religiosi o a pochi privilegiati. In Oriente, invece, nello splendore delle corti e nelle tende, lumi ad olio in ottone ed in argilla con superficie invetriata, ed oli profumati – che soffondono atmosfere da Mille e una notte – continuano una tradizione millenaria.

È solo durante il Settecento che le oliere si diffondono nei Paesi dell’Europa mediterranea, dove i dettami dell’etichetta ed il modo di vita francese si impongono alle corti e sulle tavole della nobiltà europea. Proprio l’oreficeria e l’argenteria francesi producono durante il Seicento ed il Settecento le loro più elevate espressioni artistiche, soprattutto in relazione alla committenza dell’aristocrazia e della casa reale; particolare nelle oliere di produzione francese la forma «a barca» dei supporti in argento, ispirata a modelli di centrotavola medievali e rinascimentali usati per contenitori di sale, pepe, spezie ed oggetti vari. Il panorama degli argenti italiani è invece arricchito dalla presenza di numerosi ambiti regionali, con centri caratterizzati da particolari scelte artistiche e decorative, tutte di grande qualità: gli acquirenti commissionano il lavoro rivolgendosi direttamente agli argentieri e la qualità dell’oggetto che viene loro offerto è testimoniata dall’imposizione di marchi che contrassegnano la provenienza, l’officina, il maestro argentiere e la «bontà» del metallo impiegato. La diffusione delle oliere da tavola giunge rapidamente nelle case più agiate del Nord Europa, coinvolgendo anche Paesi molto lontani dalle aree produttrici di olio d’oliva: sorprende la capacità di penetrazione di modelli culturali e alimentari dell’Europa Meridionale sino in Germania, Svizzera, Austria, Gran Bretagna e nelle Fiandre.

Ulivo bimillenario a Kastos

Ulivo bimillenario a Kastos (Grecia); fotografia di Simone Valtorta, 2008

Ma quando si parla di olivo l’immaginazione corre rapida alla terra per eccellenza di questa pianta, la Liguria: dalle Alpi liguri discendono le vallate che precipitano al mare – valli e dorsali scoscese, fatte di pietra ricoperta da un sottile strato di terra. Per rendere le colline coltivabili è stato necessario un ciclopico lavoro di terrazzamento: costruire dei muri per contenere la poca terra e solo così renderla coltivabile. Sulla roccia si è creata la base del muro, eretto con la pietra ricavata sul posto e l’invaso riempito con la terra raccolta attorno. Così, dal basso in alto, fascia dopo fascia, è nata la Liguria: pietra su pietra, con le mani degli uomini, per secoli e secoli, dal mare fin su alla montagna. Quando si impianta un oliveto, a protezione dello stesso viene innalzata un’edicola, che ospita un’immagine sacra o una statuetta di un Santo o della Madonna.

In età medievale e moderna, la misurazione dell’olio di oliva è fatta mediante unità di peso e di volume stabilite e controllate dalle autorità. In ogni centro urbano esistono magistrati preposti alla conservazione ed alla sorveglianza delle misure comunali: nel Medioevo ad Oneglia sono chiamati «Rasperii» e a Porto Maurizio «Ministralis»; essi controllano che le misure usate corrispondano al «barile», un’unità di volume che varia da sessanta a sessantacinque litri circa, secondo le zone. L’olio prodotto in Liguria è trasportato via terra con otri caricati su muli che risalgono le valli alpine in lunghe carovane; tuttavia la maggior parte dell’olio lascia la costa ligure dentro barili di legno, fabbricati a migliaia appositamente per il commercio oleario.

Dalla seconda metà dell’Ottocento l’olio della Riviera prende il mare diretto in Francia, Inghilterra e Germania; poi, al seguito degli Italiani all’estero, varca gli oceani e conquista i mercati del Nord e del Sud America, e dell’Australia. Alla fine degli anni Venti del XX secolo dal porto di Oneglia e da Porto Maurizio, a bordo di navi a vela e a motore, partono 296.000 quintali di olio di oliva confezionato in latte litografate, variopinte e spesso fantasiose nei marchi e nelle decorazioni. Alla fabbricazione di questi imballaggi lavorano diverse aziende di Imperia che sono all’avanguardia nel settore: la ditta Renzetti di Oneglia, per esempio, ha prodotto nel corso di sessant’anni di attività circa settemila marchi oleari che documentano l’importanza dell’olio ligure in ogni parte del mondo.

Ai tempi nostri, l’olivo è uno degli elementi più importanti del paesaggio e della cultura del Mediterraneo. Dal Medioevo, attraverso i secoli, sono nate e si sono consolidate le tradizioni delle grandi zone oleicole di oggi: Grecia, Italia, Spagna. L’olivo e l’olio sono una presenza indispensabile al nostro benessere quotidiano, oltre che un richiamo alla nostra storia più antica e più vera. A buon diritto all’olivo è stato dedicato un ampio museo ad Imperia, che – nelle marmoree sale di uno storico palazzo – unisce in modo magistrale tradizione e modernità: non vi si trovano solo anfore ed oggetti d’uso quotidiano, ma anche modelli di navi mercantili, audiovisivi, e persino ricostruzioni in grandezza naturale di stive di navi romane, frantoi medievali ed altri ambienti tipicamente legati alla millenaria storia dell’olivo, tanto che sembra non di vedere «dall’esterno» un percorso storico, ma di trovarsi all’interno della Storia stessa.

(settembre 2007)

Tag: Simone Valtorta, olivo, olio, anfora, Monte Testaccio, Roma, alimentazione, cibo.