Josè Rizal – L’eroe nazionale delle Filippine
Nomen omen. Sotto un nome comune, come gli altri «eroi delle rispettive patrie»: Josè Marti, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi

Nato a Calamba il 19 giugno del 1861, nell’isola di Luzon, non lontano dalla capitale Manila, da una famiglia di proprietari terrieri, nelle sue vene scorreva sangue spagnolo, cinese e filippino. Suo padre era un facoltoso piantatore di canna da zucchero e sua madre, Teodora Alonso, era una delle donne più colte di tutto l’arcipelago. Pare che lei abbia esercitato un influsso preponderante sugli orientamenti culturali del figlio e sulla sua precoce inclinazione per le manifestazioni artistiche, che spazieranno dalla letteratura, alla musica, alle arti figurative. Allievo del Collegio dei Gesuiti di Manila, dopo la scuola secondaria, nel 1882 venne inviato in Spagna, per proseguire gli studi. Qui si laureò prima in Lettere e Filosofia, poi in Medicina. Fu a quell’epoca che si mise in evidenza come il più attivo nel piccolo gruppo degli studenti filippini residenti nel Regno Iberico, verso il quale i compagni guardavano come al loro capo naturale. Con giovanile entusiasmo non si risparmiava nel sostenere la causa dell’emancipazione della sua patria, che doveva essere al tempo stesso sociale e culturale. Sconosciuto al pubblico europeo, il nome di Rizal apparve per la prima volta nel 1887, a Berlino, dove venne pubblicato un suo libro intitolato Noli me tangere. In esso si descrivevano gli abusi del Governo Spagnolo nelle Filippine e, in particolare, il ruolo negativo assunto dal clero regolare nell’arcipelago del Sud-Est Asiatico. Questo sangue misto, allora ventiseienne, divenne improvvisamente celebre come scrittore, ma ancor più per la risonanza che procurò alla causa sociale e politica del suo Paese. L’opinione pubblica d’Europa e d’America scoprì che esisteva una Nazione mal governata ed esausta, che esisteva un problema filippino. E sia il nome di Rizal, che le tematiche da lui sollevate conobbero un’ulteriore celebrità quando a Gand, in Belgio, fu pubblicato, quattro anni dopo, l’altro suo libro El filibusterismo, che era la continuazione del primo romanzo. Il successo fu grandissimo. L’impressione prodotta dai due libri sull’opinione pubblica mondiale fu paragonata a quella provocata da La capanna dello zio Tom circa la presa di coscienza del problema schiavistico negli Stati Uniti d’America. Se è esatto quel che disse Metternich a proposito de Le mie prigioni di Silvio Pellico, che un libro, cioè, può far più danno all’oppressore di una battaglia perduta, il giovane medico aveva raggiunto, con la sola forza della penna, una gran parte del suo scopo. Delle Filippine, adesso, si parlava nel mondo, e se ne parlava perfino in Spagna, l’occhiuta e sospettosissima madrepatria che già da tempo teneva sotto controllo Rizal per le sue simpatie patriottiche. Rizal viaggiò in tutta Europa. Dopo la pubblicazione del suo libro a Berlino, ritornò a Manila, dove si rese attivo contro la politica degli ordini religiosi. Costretto a fuggire dal suo Paese, si trasferì in Giappone, poi negli Stati Uniti e di nuovo in Europa. Nel 1888 fondò a Hong Kong la Liga Filipina, in contatto costante con il suo Paese, dove si andava sviluppando il fenomeno degli «ilustrados», ossia degli intellettuali che provenivano dalla ristretta élite indigena, il più importante dei quali (dopo Rizal) era Marcelo del Pilar. Nell’estate del 1892 Rizal era di nuovo a Manila, ma venne ben presto arrestato e deportato nell’isola di Mindanao, dove esercitò la sua professione di medico, gratuitamente, a favore della riconoscente popolazione indigena.

Nel 1895 offriva la sua qualificata esperienza di medico e di studioso per combattere la micidiale epidemia di febbre gialla che infuriava a Cuba. Nel frattempo, intorno a Manila, si acuivano i moti indipendentisti contro la Spagna. Trasferitosi a Barcellona, il governatore della Catalogna lo fece incarcerare nella prigione del Montjuich, allora luogo di sinistra memoria. Poi, pensando di impaurire i rivoluzionari filippini, lo rimandò a Manila, dove venne rinchiuso nel forte di Santiago, il 23 ottobre.

Contro di lui si istruì un processo con la grave accusa di alto tradimento, che si tenne per via direttissima. Nelle colonie spagnole, dove il corso della giustizia era tradizionalmente di una lentezza esasperante, questa volta non si volle perdere tempo. Così si giunse a una velocissima sentenza, entro la fine dell’anno. Non vi erano prove che egli avesse avuto parte nella preparazione della rivolta, per la buona ragione che non aveva commesso il fatto. Non faceva nemmeno parte del «Katipunan», associazione segreta indipendentista, con la quale era entrato in contatto, non condividendone del tutto il programma radicale che prevedeva la lotta armata per cacciare gli Spagnoli e gli ordini religiosi. Mentre la rivolta divampava a Manila, il processo viaggiava speditamente e i giudici fingevano di ignorare che Rizal si era sempre opposto alla violenza. Condannato a morte, il 30 dicembre 1896 veniva fucilato sulla Luneta, parco pubblico dove oggi si trova il suo monumento. Alla vigilia della esecuzione, scriveva il suo testamento spirituale, affidandolo ai versi di Ultimo adiós, considerato un capolavoro assoluto della poesia in lingua spagnola. Da quel momento il suo nome divenne il grido di battaglia della rivoluzione filippina; e ancora oggi, nelle scuole di questo Paese, si insegna alla gioventù a salutare in lui il precursore dell’indipendenza nazionale.

Riportiamo alcuni brani del poema Ultimo adiós che rappresenta il testamento spirituale di Rizal. La poesia fu scritta in carcere poco prima dell’esecuzione della sentenza capitale. La sua importanza non risiede tanto nel suo valore letterario, che ad alcuni può sembrare troppo sentimentale, bensì nel suo valore etico-politico.


Ultimo adiós – di Josè Rizal

Adios, Patria adorada, region del sol querida,
Perla del Mar de Oriente, niestra perdido Eden!
A darte voy alegre la triste mustia vida
Y fuera mas brillante, mas fresca, mas florida,
Tambien por ti la diera, la diera por tu bien.

En campos de batalla, luchando con delirio
Otros te dan sus vida sin dudas, sin pesar;
El sitio nada importa, cipres, laurel o lirio,
Cadalso o campo abierto, combate o cruel martirio,
Lo mismo es si lo piden La Patria y el hogar. […]

Ensueno de mi vida, mi ardiente vivo anhelo,
Salud te grita el alma que pronto va a partir!
Salud! Ah, que es hermoso caer por darte vuelo,
Morir por darte vida. Morir bajo tu cielo,
Y en tu encantada tierra la eternidad dormir.

(Addio, patria, addio, amata terra del sole,
Perla del mare d’Oriente, nostro Eden perduto!
M’appresto, gioioso, a donarti la mia vita triste e cupa.
E foss’anche più luminosa, più fresca e più fiorita,
Per te del pari la donerei, per la tua felicità.

Sui campi di battaglia, nelle gioie della lotta,
Altri offron tutto se stesso, senza indugio né rimorso:
Che importa il luogo del sacrifizio, il cipresso, il lauro o il giglio,
Il patibolo o l’aperta campagna, la battaglia o il supplizio crudele,
Sempre uguale è l’olocausto, quando la patria o il focolare lo invocano. […]

Sogno dell’intera mia vita, mio aspro e bruciante desìo!
Salve!, ti grida la mia anima che si affretta al viaggio!
Salve! Quanto è bello cadere perché il tuo suolo sia libero,
E nella tua terra incantata dormire l’eternità).


Bibliografia

Roberto Pizzi, Cenni biografici su Josè Protasio Rizal, in «Documenti e Studi – Rivista dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea in provincia di Lucca», numero 39, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, 2015

Gaston Willoquet, Histoire des Philippines, Press universitaires de France, Vendome (France), 1961

Francesco Lamendola, José Rizal e la lotta per l’indipendenza delle Filippine, 12/11/2007, Arianna Editrice, www.ariannaeditrice.it

(giugno 2023)

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