Ulan Bator, capitale della Mongolia
Il crollo del comunismo ha gettato la città nella miseria più nera: il volto di una vita forse non più degna di essere vissuta

Un inferno sotterraneo si agita nella lontana Asia: il sottosuolo di Ulan Bator.

Sono le migliaia di disperati che, rimasti senza lavoro e senza casa, si rifugiano nei bassifondi della capitale della Mongolia, in cerca di un posto caldo dove passare l’inverno, che tocca 30 gradi sottozero. Vicino alle tubature provenienti dalle centrali termiche la temperatura è superiore ai 40 gradi. E qui, a poco a poco, si sono sistemati: emanazione bollente e nauseabonda, senza aria e senza acqua, dove proliferano topi, insetti e scarafaggi.

Ex contadini, ex funzionari soprattutto; ma questo esercito dostojevskiano annovera anche un ex geologo e un ex scrittore. Sono 3 o 4.000 le persone che si trovano a pagare il conto più salato della transizione al mercato, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, di cui la Mongolia era un satellite.

Passata brutalmente dal Medio Evo alla modernità, dall’isolamento alla mondializzazione, la terra di Gengis Khan ha visto nascere, tanto per cambiare, un gruppo ristretto di nuovi ricchi, già perfettamente inseriti nel circolo privatizzazione/corruzione, e una massa enorme di nuovi poveri: un terzo della popolazione totale. Tra questa, un gruppo di poverissimi: il popolo del sottosuolo.

E mentre nelle città spuntano locali techno-trendy e si moltiplicano le jeep da decine di migliaia di dollari, sotto, lungo le tubature, dilagano tubercolosi, polmonite e altre malattie. A cui vanno aggiunti i gravissimi danni alla salute derivanti dall’amianto di cui sono rivestiti i tubi, e gli incidenti che, di tanto in tanto, si verificano: guasti che si traducono in scoppi, scoppi che si traducono in stragi.

Una sola struttura sanitaria pubblica è disponibile: l’Ospedale della Carità, con appena 55 posti letto, gestito dalle suore. «La Mongolia è l’Africa più il freddo. La sofferenza di questi posti non ha eguali, difficilmente l’umanità potrebbe scendere più in basso».

Nel sottosuolo ha attecchito anche la piaga nazionale: dosi massicce di vodka spesso mischiata a metanolo. E stanno prendendo corpo forme varie di devianza minorile: gruppi di adolescenti «boss», che sfruttano bambini più piccoli di loro e avviano alla prostituzione ragazzine di 13-14 anni, per 4.000 turiks, ovvero 4 euro al giorno. Un guadagno ben superiore a quello medio di questo abisso, da cui gli abitanti emergono di giorno per raccogliere rifiuti destinati alle imprese di riciclo.

E il governo? Ha creato squadre di poliziotti non armati, ha impartito loro qualche rudimento di psicologia e li manda di tanto in tanto in questo spaventoso sottoterra a ripescare i bambini. Per poi chiuderli in un centro di detenzione o in un orfanotrofio.

(maggio 2013)

Tag: Ercolina Milanesi, Ulan Bator, Mongolia.