Accademia delle Notti Vaticane
Un’iniziativa culturale (1562-1565) durante il Pontificato di Pio IV dei Medici

Nell’anno di grazia 1564 il Papa Pio IV, che cinque anni prima era stato elevato al Soglio di Pietro dopo la scomparsa del predecessore Paolo IV – alla fine di un conclave assai lungo e dibattuto –, ebbe il merito di condurre a termine il Concilio di Trento concludendo 24 anni di lavori, e di affermare i valori della tradizione cattolica, confermando i decreti conciliari con la Bolla Benedictus Deus. Il Pontificato di Pio IV, se non altro per questo, sarebbe passato alla storia nonostante la durata relativa, pari a poco meno di sei anni; nondimeno, ebbe notevole importanza artistica e culturale, con grandi opere come la costruzione di Santa Maria degli Angeli nell’area delle terme di Diocleziano, la realizzazione del Belvedere nei Giardini Vaticani e la progettazione di Porta Pia, affidata a Michelangelo.

Papa Pio IV, tra l’altro, si sarebbe distinto per un poliedrico mecenatismo, in cui ebbe un collaboratore importante nel nipote Carlo Borromeo, uomo di grande rettitudine destinato alla gloria degli altari, ed assai lontano dalle vecchie consuetudini, fondate su diffuse deviazioni nepotistiche. Per l’appunto, si deve a Carlo la fondazione dell’Accademia che fu detta delle Notti Vaticane per la consuetudine di tenere quattro riunioni settimanali a tarda ora, nell’intento di non sottrarre tempo alle occupazioni ordinarie degli Accademici. Costituita il 20 aprile 1562, l’iniziativa avrebbe avuto regolare seguito fino al 14 settembre 1565, quando si tenne l’ultima seduta, seguita dalla partenza del Borromeo per la sede episcopale di Milano (e nel successivo dicembre, dalla morte del Pontefice).

In effetti, nonostante la presenza di grandi nomi del mondo vaticano, tra cui Ugo Boncompagni – destinato a diventare Gregorio XIII dopo la scomparsa di Pio V Ghislieri immediato successore di Pio IV Medici – l’Accademia ebbe modo di distinguersi per un’importante attività culturale, soprattutto in campo letterario e filosofico, ma poi anche in quello teologico, proprio per l’impulso che il Borromeo seppe conferirle, anche attraverso il libero confronto, in una logica di approfondimento critico ed oggettivo. Si parlò, tanto per fare qualche esempio significativo, delle opere di Cicerone, Livio, Lucrezio, Varrone e Virgilio, delle Lettere greche di San Gregorio Nazanzieno, delle opere dei Padri della Chiesa e degli stessi Evangelisti. Un ciclo specifico venne dedicato anche ai vizi capitali ed alle virtù teologali.

Le testimonianze del tempo sono concordi nel sostenere la notevole importanza che i tempi dell’Accademia ebbero nella maturazione di Carlo Borromeo, anzitutto sul piano dell’approfondimento dei valori etici che poi avrebbe trasferito nella prassi quotidiana del proprio ministero, fino alla santità; ma nello stesso tempo, su quello di ottimizzare l’arte dello scrivere e quella del predicare. Del resto, diversi anni più tardi, in una lettera al Vescovo di Padova avrebbe ribadito che l’Accademia «era stata istituita per trattenerci in oneste occupazioni» e che il confronto sulle «cose profane» era stato progressivamente sostituito da quello sulle «cose sacre». Dal canto suo, Carlo Bascapé, che fu il primo biografo del Santo Borromeo, avrebbe soggiunto che parecchi Accademici, proprio a fronte del suo esempio, si rivolsero a più alti studi ed «a vita più pura»[1].

È utile precisare, ma la cosa è facilmente comprensibile, che la lingua d’uso comune nelle attività dell’Accademia era quella latina: scelta indubbiamente formativa, come lo stesso Borromeo avrebbe scritto al Cardinale Francesco Gonzaga il 15 settembre 1565, all’indomani dell’ultima riunione, sottolineando che bisognava sempre rispondere «ad un’orazione preparata», generalmente «d’improvviso e senza essere preparati».

In ultima analisi, una realtà storica come quella dell’Accademia delle Notti Vaticane, grazie all’opera maieutica del futuro San Carlo, contribuisce ad illustrare in maniera più realistica ed oggettiva, lungi da tante vulgate, la presenza di un forte impegno in chiave etica e culturale nell’ambito di uno Stato come quello pontificio dell’epoca tridentina, e nel contesto di una complessa ricostruzione dei valori tradizionali che erano stati compromessi dalla Riforma, ma prima ancora, dai comportamenti che avevano contribuito a promuoverla.


Nota

1 Confronta Carlo Bascapé, De Vita Rebus gestis Caroli S.R.E. Cardinalis libri septem, Basilica Petri auctore, Ingolstadt 1592, citato in Pio Paschini, Il soggiorno di San Carlo Borromeo a Roma, Società Editrice Internazionale, Torino 1935, pagina 72. Confronta altresì: L. Berra, L’Accademia delle Notti Vaticane fondata da San Carlo Borromeo, Roma 1915 (pagina 64 e seguenti).

(agosto 2018)

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